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Elezioni, la lezioncina delle banche d’affari a Meloni: “Rispetti l’agenda Draghi”

Da Goldman Sachs a Ups, i colossi del credito vedono già il leader di Fd’I a Palazzo Chigi: “Se non rispetta l’agenda Draghi saranno guai”. Ma l’Italia nei guai c’è già

12 Settembre 2022

Elezioni, il diktat delle banche d’affari a Meloni: “Rispetti l’agenda Draghi”

Meloni (LaPresse)

Le banche d’affari difendono l’operato del banchiere Mario Draghi. Verrebbe da chiedersi dove sia la notizia. Goldman Sachs, Ups e Société Générale, però, non si sono limitate a un endorsement all’ormai ex premier, ma hanno messo le mani avanti, dando consigli (non richiesti) a Giorgia Meloni, individuata come la futura inquilina di Palazzo Chigi.

Elezioni, la lezioncina delle banche d’affari a Meloni: “Rispetti l’agenda Draghi”

La lezioncina di finanza al leader di Fd’I inizia verte essenzialmente su un principio di base: giù le mani dall’agenda Draghi. Quello dei grandi istituti bancari è un vero e proprio diktat: “Se Meloni abbandonerà l’agenda Draghi saranno guai”. Eppure, tra caro energia, caro bollette e inflazione, sembra che i guai, in Italia, ci siano già, nonostante l’agenda Draghi. Dai big della finanza la preoccupazione è principalmente una: “Capire da vicino l’agenda del futuro governo sul piano Ue per eccellenza e la politica economica internazionale a esso associata. Dal dossier aperto sulla concorrenza alla digitalizzazione, sino alla transizione energetica e alla giustizia, l’Italia è ferma al palo da troppo tempo su questioni economiche e tecnologiche cruciali per la crescita e la competitività internazionale”. La strada aperta da Draghi, in tema di riforme e Pnrr, secondo le grandi banche d’affari, “è quella giusta da seguire” (ma dai?).

Elezioni, la lezioncina delle banche d’affari a Meloni: “Rispetti l’agenda Draghi”

“Il nuovo esecutivo”, hanno proseguito le tre istituzioni, “si dovrà confrontare con un operato apprezzato sia da Bruxelles sia fuori dai confini dell’Ue”. Se Meloni andrà effettivamente al governo, quindi, dovrà operare in maniera da soddisfare l’Ue e gli altri 207 Stati del mondo. Verrebbe da chiedersi perché, dato che al Madagascar non dovrebbe importare molto di quel che accade a Roma. La svizzera Ubs, in particolare, ha scritto che, nel caso in cui il nuovo governo dovesse rinunciare a centrare gli obiettivi incisi nel Pnrr di Draghi, “si concretizzerebbe lo scenario peggiore”. Peggio di così? Con le bollette quintuplicate e il sistema industriale italiano al collasso? Difficile. Ubs stima comunque che il Btp, anche dopo le elezioni, viaggerà tra 200 e 250 punti base, che è un premio sufficiente dato il rischio maggiore del debito Italiano. Solo se la recessione dovesse essere peggiore del previsto, o se dopo le elezioni ci fosse nuova incertezza, lo spread potrebbe arrivare fino a quota 300 punti base. Se invece il nuovo governo dimostrasse di essere determinato a tenere il debito sotto controllo e a eseguire il Pnrr, e la Ue risolvesse la crisi energetica, lo spread potrebbe tornare sotto quota 200″. Ubs sa bene che Meloni è a favore della rinegoziazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Così la mette in guardia: se il Pnrr cambia e non viene attuato così com’è, lo spread ridurrà l’Italia in recessione. Se, al contrario, Meloni eseguirà il Pnrr come l’ha programmato Draghi, senza fiatare, le cose, per l’Italia, andranno benone. Un po’ superficiale, come lezioncina.

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