11 Agosto 2022
Nel giro di pochi giorni, Carlo Calenda ha scombinato e ricombinato le carte sul tavolo da gioco, corteggiando e facendosi corteggiare da tutti i partiti all'infuori del centrodestra; ha stupito tutti facendo saltare il patto con il PD a neanche 24 ore dalla sua siglatura, per poi sottoscrivere un patto d'acciaio che lega il destino di Azione a quello di Italia Viva, la creatura di Renzi. Qualcuno ha criticato in Calenda una eccessiva mercurialità o persino la tendenza a lasciarsi influenzare da Twitter, ma quali sono le ragioni dietro alla sua condotta imprevedibile?
Il famigerato patto con il PD, che avrebbe dovuto creare un solido asse di centrosinistra da contrapporre al solido blocco capitanato da Giorgia Meloni, è naufragato quasi immediatamente. Questo nonostante Enrico Letta abbia offerto condizioni estremamente vantaggiose, in termini di seggi e candidature, rispetto al peso numerico dei voti portati da Azione. Perché dunque rifiutare?
L'argomento di discrimine è stato il coinvolgimento nel "campo largo" di personalità politiche ostili a Calenda, su di tutti Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana. Calenda ha denunciato la rottura del "contratto" da parte del PD, sostenendo che non aveva senso lavorare con partiti con palesi incompatibilità di programma. Dunque, paradossalmente, Calenda ha voluto presentare il "divorzio" col Partito Democratico come una scelta di coerenza, motivata dal desiderio di portare avanti un programma ben definito (quello della cosiddetta "Agenda Draghi") non facendosi ostacolare da frange di sinistra più ecologista e radicale.
Più sottilmente, Calenda vuole imporsi come un leader decisivo, rifiutando io ruolo del "piccolo partito", di comprimario irrilevante costretto ad agire da sidekick degli attori più grossi. Anche a costo di distruggere alleanze vantaggiose e strategiche contro la destra. Nel breve termine, le conseguenze saranno difficili - scompattano la sinistra, già in svantaggio - ma nel lungo termine potrebbero fare apparire Calenda come una figura più credibile e autorevole, in grado di imporre le sue scelte o fare saltare il tavolo.
Il contraccolpo iniziale è stato pesante: dopo la rottura del patto, ben 1500 membri di Azione restituirono la tessera. Tuttavia, Carlo è caduto in piedi: pochi giorni dopo, riceve una offerta ancora più vantaggiosa di guidare una alleanza con Italia Viva di Renzi, formando così un "terzo polo" liberale che si contrappone a centrodestra e centrosinistra. Le condizioni di Renzi sono cavalleresche: lasciare la leadership e due terzi delle apparizioni pubbliche a Calenda. Inizialmente, Calenda è sospettoso: teme l'alleanza con un politico esperto e dalla personalità ingombrante come Renzi, e che la natura del suo partito ne sia influenzata. Rifiuta l'ipotesi di una lista unica e propendé per una semplice collaborazione.
Sembra che la quadra sia stata trovata, e che Calenda sia sopravvissuto alla reazione mediatica seguita al suo sconvolgente divorzio col PD. È difficile che in queste elezioni la forza che ne è nata possa esercitare chissà quale peso, ma nel giro di qualche anno potrebbe aver guadagnato molto in termini di credibilità e prendere voti sia da destra che da sinistra. Vedremo se la scommessa del "incorruttibile" Calenda, ossia puntare su una condotta rigida e poco incline al compromesso a favore di una immagine di pura coerenza, lo ripagherà, o se Azione verrà assorbita dai vortici della storia come mille partiti liberali prima di esso.
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