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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Lo stato d'emergenza sta davvero per finire?

Davvero tutto finirà il 31 marzo? O forse...

02 Febbraio 2022

Da più parti si ripete solennemente, pur lasciando sempre aperta la porta del dubbio, che lo stato d'emergenza si avvia ormai al tramonto. Come sappiamo, lo stato d'emergenza dovrebbe infatti decadere a fine marzo. D'altro canto, esso è già durato per ben due anni e più, in una forma che lascia più di un dubbio circa la effettiva costituzionalità. Siamo dunque ormai in procinto di tornare alla normalità, come gli stessi pretoriani dell'ordine terapeutico sembrano ormai apertamente ammettere? Personalmente, nutro molteplici dubbi, come peraltro si conviene a chi di professione pratica la filosofia. Il primo motivo di dubbio sorge dal fatto che si continua a parlare della infame tessera verde, alias greenpass, come se dovesse durare ben oltre lo stato di emergenza, la cui fine è prevista appunto per fine marzo. Chiediamoci davvero come possa uno strumento d'emergenza, tale è l'infame tessera verde, durare più a lungo dell'emergenza stessa. In secondo luogo, non si dimentichi il fatto che, se finisce lo stato d'emergenza, si dovrebbe perciò stesso tornare a quello stato di normalità che sembra essere a tutti gli effetti ciò a cui il blocco oligarchico neoliberista non vuole si faccia mai ritorno. In ultima istanza, non passi inosservato il fatto che non ci è mai stata fornita una tabella, un grafico, una serie di dati alla cui luce leggere effettivamente la necessaria fine dell'emergenza. Con quali criteri oggettivi dunque potrà dirsi finita l'emergenza? Dipenderà solo dalla volontà del decisore politico o, più precisamente, del comitato tecnico scientifico di riferimento? Il mio ragionato sospetto è che lo stato d'emergenza, che svolge il ruolo di metodo di governo, non finirà. O che, se anche finirà per brevissimo tempo, verrà presto nuovamente introdotto in nome di nuove emergenze. Deve infatti essere chiaro che l'emergenza permanente coincide ormai con la normalità del tardo capitalismo.

Di Diego Fusaro

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