07 Dicembre 2021
Fonte: lapresse.it
Alla fine, dunque, Giuseppe Conte non si è candidato. Le elezioni suppletive di Roma per lo scranno lasciato vuoto da Roberto Gualtieri, che di Roma è nel frattempo diventato il sindaco, non vedranno concorrere l'ex premier nonché autoproclamatosi avvocato del popolo. Conte resta un incompiuto. Dai "penultimatum", come quello sulla Rai, evocati da Beppe Grillo alle ritirate strategiche in extremis prima di scendere in campo per conquistare un posto in parlamento. La sua mossa di restare fuori dalla mischia arriva in extremis e non fa piacere al Partito democratico di Enrico Letta, che ancora una volta riceve una riprova di quanto sia difficile puntare sull'alleanza con una forza politica traballante e poco affidabile.
Ma perché Conte ha deciso di tirarsi indietro? La sensazione è che Conte si sia accorto che le suppletive potevano diventare un vero e proprio trappolone. In caso di sconfitta, tutt'altro che inimmaginabile, la sua carriera politica rischiava di volgere già al termine. Visto che la sua credibilità è già minima all'interno del M5s, a causa delle continue bordate del padre padrone Grillo ma anche dello scarso supporto di larga parte dei membri pentastellati, il ko alle urne avrebbe di fatto significato perdere qualsiasi velleità di leadership del Movimento.
Non solo. Le urne sarebbero state a Roma, capitale appena passata di mano dopo i cinque anni di gestione pentastellata. Ma nonostante la sconfitta, Virginia Raggi ha cementato il consenso attorno a sé più che attorno al M5s. Un consenso che l'ex sindaca non vede l'ora di poter riutilizzare, anche magari per colpire colui che considera come uno dei responsabili della sua sconfitta alle elezioni nelle quali cercava un secondo mandato. Conte non ha supportato la candidatura di Raggi, anzi l'ha di fatto scaricata già durante la campagna elettorale sottolineando i suoi errori e l'impossibilità di dare tutte le colpe della sconfitta ai "complotti" e agli "attacchi" altrui.
Non è certo un mistero, peraltro, che Luigi Di Maio sia in ottimi rapporti con Raggi. Insomma, il timore di un agguato letale sotto il fuoco amico si è fatto fortissimo per l'ex premier, che ha così deciso di dissuadere. Causando però un effetto a catena sulla fiducia, già scarsa, del Pd nei confronti di un Movimento sempre più sull'orlo di una crisi di nervi. A proposito di Pd, il Foglio dà conto di una nuova idea che si sta facendo larga tra i Democratici per il futuro di Draghi. Niente Quirinale, ma senato a vita. L’idea è che il premier andrebbe “istituzionalizzato” per convincerlo a restare a Palazzo Chigi fino al 2023 senza cercare la prematura (secondo il Pd) ascesa al Colle. Segnale che significa che il Pd stia ancora insistendo su Sergio Mattarella per fargli accettare un secondo mandato.
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