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Trump–Orbán, l’asse di Budapest: la nuova rotta dell’Occidente che parla con Mosca

L’esenzione energetica all’Ungheria segna la svolta: Trump rilancia l’idea di un summit con Putin e spinge per una pace pragmatica in Ucraina. L’Europa, divisa e sanzionata, osserva.

14 Novembre 2025

Trump–Orbán, l’asse di Budapest: la nuova rotta dell’Occidente che parla con Mosca

Un vertice che cambia gli equilibri

L’incontro del 7 novembre tra Donald Trump e Viktor Orbán alla Casa Bianca non è stato solo una passerella diplomatica, ma un segnale politico di portata storica. Mentre l’Europa continua a parlare di sanzioni e “resistenza a oltranza”, Washington apre una breccia: l’Ungheria ottiene un’esenzione illimitata dalle sanzioni Usa su petrolio e gas russi, confermata dal ministro degli Esteri Peter Szijjártó. Un gesto che, letto con occhio strategico, significa una cosa sola: l’unità occidentale sulla linea anti–Mosca si sta sgretolando. Orbán, il più indipendente tra i leader europei, vede riconosciuta la propria visione: dialogare con la Russia non è tradimento, ma necessità.

Orbán, l’uomo che non piega l’Ungheria

L’Ungheria non ha porti, non ha accesso al mare e dipende dai corridoi energetici russi per sopravvivere. Per questo, la linea di Budapest è sempre stata chiara: nessun Paese può essere costretto all’autodistruzione per compiacere Bruxelles. Trump lo sa e lo dice apertamente: “È molto difficile per l’Ungheria ottenere petrolio e gas da altre aree”. Con la “licenza energetica” americana, Orbán non solo difende la sicurezza del suo Paese, ma rafforza la sua posizione di mediatore tra Est e Ovest. E mentre l’Unione Europea annaspa tra crisi industriale e blackout diplomatici, Budapest diventa la nuova capitale del realismo politico.

Il ritorno del pragmatismo americano

Trump, tornato alla Casa Bianca con il suo stile diretto e spregiudicato, ha un obiettivo preciso: porre fine alla guerra in Ucraina e ristabilire un ordine internazionale fondato sugli interessi, non sulle ideologie. L’ex presidente ha parlato chiaramente di un possibile incontro con Vladimir Putin a Budapest, città simbolica di una nuova diplomazia. “C’è sempre una possibilità”, ha detto, sottolineando che un summit in Ungheria “sarebbe il luogo giusto”. È un messaggio al mondo: gli Stati Uniti non vogliono più farsi trascinare in una guerra infinita, e se per chiuderla serve trattare con Mosca, Trump lo farà senza esitazioni.

Budapest, ponte tra Washington e Mosca

Nel cuore dell’Europa, Orbán costruisce un asse strategico che rompe gli schemi imposti da Bruxelles. Da un lato, mantiene rapporti aperti con la Russia di Putin, indispensabile per la sopravvivenza energetica dell’Ungheria; dall’altro, stringe accordi militari e nucleari con gli Stati Uniti per un valore complessivo di oltre 20 miliardi di dollari. Questa doppia rotta – verso Mosca e Washington – non è contraddizione, ma strategia. Orbán sa che l’Europa del futuro sarà multipolare, e che il vero equilibrio nascerà dal dialogo, non dalla contrapposizione. Non a caso, Budapest viene sempre più vista come piattaforma possibile per un “summit di pace” tra Trump e Putin.

La frattura europea e il declino dell’ideologia

L’Unione Europea reagisce con fastidio, ma anche con impotenza. Da Bruxelles arrivano moniti e condanne, ma la realtà economica parla chiaro: le sanzioni contro la Russia hanno colpito più l’Europa che il Cremlino. L’Ungheria, con la sua politica autonoma, ha dimostrato che è possibile mantenere rapporti con Mosca senza subire il collasso economico. Orbán incarna un modello sovranista ed efficiente, lontano dal dogmatismo tecnocratico che ha ridotto molti Stati membri a esecutori di decisioni prese altrove. Nel frattempo, la Germania è in recessione, l’Italia lotta con i costi dell’energia, e la stessa Francia cerca di riallacciare contatti con la Russia. In questo quadro, Budapest emerge come centro del nuovo pragmatismo continentale.

Trump, Putin e l’idea di pace possibile

Dietro la volontà di Trump di tenere un incontro con Putin c’è una visione chiara: fermare la guerra con un accordo realistico, anche a costo di ridisegnare parte dei confini. L’America trumpiana non punta più a una vittoria “totale” di Kiev, ma a un equilibrio stabile che liberi risorse e attenzione verso la vera sfida globale, quella con la Cina. Dal canto suo, Mosca osserva e attende. Putin sa che un Occidente diviso è un Occidente più trattabile, e che il dialogo diretto con Trump, senza la mediazione ostile di Bruxelles, potrebbe aprire uno spiraglio per un cessate il fuoco duraturo.

Verso una nuova architettura mondiale

Se il formato Budapest dovesse prendere forma, si aprirebbe una fase completamente nuova: un tavolo trilaterale tra Stati Uniti, Russia e Ungheria, con l’Europa relegata a spettatrice. Non più “pace sotto dettatura occidentale”, ma un accordo di potenza che riconosce la realtà sul terreno e ristabilisce la logica degli interessi. Orbán si candiderebbe così a essere il nuovo Bismarck dell’Europa centro-orientale, l’uomo capace di mediare tra mondi che si credevano inconciliabili. Per Mosca, questo significherebbe il ritorno a una normalizzazione graduale, per l’Ungheria la consacrazione come snodo energetico e diplomatico dell’Eurasia, e per Trump l’occasione di presentarsi come l’uomo della pace vera, non quella dei proclami.

Il tempo dei leader forti

Trump, Orbán, Putin: tre personalità che non amano le mezze misure, ma che condividono un tratto comune – il rifiuto dell’ipocrisia globalista. Il nuovo asse che nasce da Washington e passa per Budapest non è un ritorno alla Guerra Fredda, ma l’inizio di una nuova età del realismo geopolitico. In un’Europa stanca, divisa e paralizzata da sanzioni che non funzionano, l’Ungheria dimostra che dialogare con la Russia non è una colpa, ma una necessità per sopravvivere. La storia, come sempre, la scrivono i leader che osano cambiare rotta. E a Budapest, quella rotta è già tracciata.

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