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"Muoia Sansone con tutti i filistei:, la Nato continua la guerra al "nemico inesistente russo" costruendo la base "Mihail Kogălniceanu" in Romania

Nonostante questa base costituirà un serio problema per Putin, la logica impone di pensare che il leader russo non possa essere tanto stolto da non ricordarsi che fa parte della NATO, la cui vera anima risiede a Washington. Un boccone troppo grande ed indigesto per tutti, compresa la Russia

14 Novembre 2025

"Muoia Sansone con tutti i filistei:, la Nato continua la guerra al "nemico inesistente russo" costruendo la base "Mihail Kogălniceanu" in Romania

Fonte: Atlantic Council

Con un investimento di 2,5 miliardi di Euro, a Costanza in Romania, la NATO sta ultimando la base aerea "Mihail Kogălniceanu", la più grande in Europa, superiore anche a quella tedesca di Ramstein. Un imponente infrastruttura operativa in un'area sul Mar Nero estremamente importante sotto il profilo strategico, perché in prossimità del confine ucraino, proprio di fronte alla Crimea e non molto lontana dal territorio russo.

Indubbiamente, una potenziale grossa spina nel fianco per Mosca la quale, molti anni fa subito dopo lo sgretolamento dell'Unione Sovietica, aveva previsto possibili minacce di questo genere, anche a carattere nucleare, per cui aveva chiesto e ottenuto dalla NATO l'accordo che non si allargasse nell'est Europa, prevedendo la neutralità delle ex Repubbliche Sovietiche. In fondo, questa clausola aveva una sua logica, perché per quanto la Russia, nei primi anni '90, fosse molto debole, in quanto rimasta orfana del Patto di Varsavia ed in preda ad una profonda crisi strutturale politico-economica, rimaneva comunque una delle due Super potenze nucleari mondiali, come l'allora Presidente Eltsin si era premurato di ricordare a Washington per ottenerne il rispetto.

È noto ai più di come poi sia andata, nel senso che quella condizione strategica, che forse avrebbe potuto evitare molti problemi, compresi quelli attuali, su spinta americana non è stata sostanzialmente rispettata dall'Alleanza, che si è estesa sino a lambire l'Ucraina.

Tuttavia, nonostante questa base, quando sarà attivata, costituirà un serio problema per Putin, la pura e semplice logica impone di pensare che il Leader russo non possa essere tanto stolto da non ricordarsi che fa parte della NATO, l'unica e più forte Alleanza politico-militare al mondo, la cui vera anima risiede a Washington. Un boccone troppo grande ed indigesto per tutti, compresa la Russia.

Pertanto, al di là delle roboanti dichiarazioni e dei perentori moniti, che l'establishment moscovita non ha sinora risparmiato alla compagine nord atlantica, ma che fanno parte di uno scontato gioco delle parti, ulteriormente esasperato dall'ingresso in scena di Trump, l'orso russo tutto può volere, tranne che il coinvolgimento diretto della NATO nella sua guerra con Kiev.

Infatti, in questi anni di guerra Putin ha dimostrato al mondo e, presumibilmente, anche a se stesso, che la Russia è sinora riuscita ad assorbire, senza particolari contraccolpi, sia le innumerevoli sanzioni economiche che il supporto finanziario e militare dell'Alleanza all'Ucraina, molto probabilmente anche chiudendo un occhio su possibili presenze di operatori di Paesi NATO in territorio ucraino, a sostegno diretto di Comandi e unità di Kiev.

Impossibile credere che Mosca non sia in possesso di prove certe di simili aiuti, che hanno natura e peso specifico ben diversi da un concorso esterno perché, in termini di Diritto Internazionale, potrebbero essere considerati come coinvolgimenti diretti nei combattimenti contro le Forze russe e, di conseguenza, come atti di guerra alla Russia.

Ma Putin, sinora, non ha voluto giocarsi questa carta in tutta la sua valenza, per il motivo più ovvio, pragmatico e, soprattutto, sensato: non gli conviene rischiare un'escalation in un conflitto che, pur se con difficoltà ben superiori a quanto previsto, comunque sta vincendo e, probabilmente, lo porterà conseguire gli obiettivi prefissati all'atto dell'attacco.

Obiettivi che, molto probabilmente, hanno ormai la sostanziale approvazione di un Trump  impaziente di aggiungere alla sua collezione di “pacificazioni” il nono sigillo che, tra l'altro, considera quello più prestigioso, perché metterebbe fine ad una guerra non cominciata  durante il suo mandato. Ma anche un Trump che non può più permettersi di impiegare tempo e risorse nello scacchiere europeo, dove gli Alleati sono stati ormai sottomessi sotto tutti gli aspetti, economico-finanziari e militari, mentre la Russia costituisce un ex partner possibilmente da recuperare, per implementare un'ipotetica cooperazione anti-Cina.

È chiaro che Washington non può palesare completamente questo suo approccio alla guerra ucraina, ma ormai i segnali che questa sia la via che intende percorrere si susseguono “a tutto campo”, sia nei rapporti diretti con Kiev, a cui ha negato i missili a lungo raggio Tomahawk sia nei contesti internazionali. È notizia di un paio di giorni fa che gli USA intenderebbero apportare qualche modifica, non proprio di poco conto, al testo della Risoluzione annuale dell'ONU, che legittima il sostegno internazionale all'Ucraina, quale Nazione invasa. In particolare, vorrebbero sostituire, con la generica frase “guerra in Ucraina”, i concetti di “aggressione” e di “integrità territoriale”, che costituiscono i pilastri di legittimità della resistenza ucraina e dello stesso supporto internazionale.

Qualora l'idea americana si dovesse concretizzare - e le probabilità sono molto elevate – sotto lo sguardo compiaciuto di Putin, l'invasione russa verrebbe banalizzata ad un normale conflitto tra due contendenti e la reazione ucraina non sarebbe più la legittima difesa di una Nazione aggredita, con buona pace per Kiev, ma anche per tutti i Paesi Europei, che continuano imperterriti a sostenere la politica della vittoria finale e della restituzione dei territori conquistati da Mosca.

Se a tutto questo si somma l'andamento lento, ma sostanzialmente positivo per Mosca delle operazioni sul campo, si delinea un contesto che, pur con alti e bassi, sembra comunque favorire inesorabilmente le mire putiniane, a fronte invece di una situazione sempre più problematica per l'acerrimo nemico Zelensky il quale, oltre che con i problemi militari del fronte operativo, che sta progressivamente cedendo sotto la pressione russa, deve fare i conti con uno grave scandalo interno di corruzione che, al momento, ha travolto una parte dei suoi fedelissimi, ma che potrebbe subire un pericolosissimo effetto domino, in una Nazione che è ormai allo stremo delle sue forze, con l'inverno alle porte.

A questo punto, a parte gli ulteriori sei miliardi di euro che la von der Leyen ha appena deciso di far buttar via agli Europei a favore dell'Ucraina, ma che serviranno solo a prolungare una dolorosissima agonia, c'è da chiedersi quali reali alternative possano esserci per il Leader ucraino per uscire da questa situazione, che sembra essere al limite della disperazione. Probabilmente proprio una soluzione disperata potrebbe essere l'ultima chance per cercare di ribaltare le sorti dell'Ucraina ma, soprattutto, di salvare le sorti politiche dello stesso Zelensky. Una sorta di soluzione finale che faccia saltare il banco, magari con la deflagrazione di un'intera Alleanza da sbattere contro la Russia.

Ma come per qualsiasi esplosione serve un detonatore che l'attivi, per attivare la NATO servirebbe una provocazione, meglio se forte e violenta, come, ad esempio, l'attacco di una sua base. Proprio come il caso denunciato nei giorni scorsi dai Russi, secondo i quali avrebbero sventato un'operazione speciale ucraina, che prevedeva di corrompere con 3 milioni di dollari piloti di Mosca, che avrebbero dovuto effettuare un falso attacco alla base aerea NATO di Costanza, in modo da cercare di ottenere il coinvolgimento diretto dell'Alleanza. E non importa che tutto ciò potrebbe comportare il rischio di una terza guerra mondiale, perché se Sansone deve morire tutti i Filistei ne devono seguire le sorti.

Ma forse, il vero problema per gli Europei è che questo terribile teorema potrebbe essere buono anche per la sopravvivenza politica dei loro Leader, che sembra non intendano dar segni di rinsavimento dalla loro politica di “vittoria ucraina o morte”. Ma morte di chi?

 

Generale di Corpo d'Armata degli Alpini

Marcello Bellacicco

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