Israele, influencer Usa assoldati per fare "propaganda sionista" pagati fino a $7000 a post nel progetto "Esther" da $900mila

Israele paga influencer fino a 7000 dollari a post per diffondere propaganda pro-occupazione mentre Gaza affronta assedio, stragi e silenziamento mediatico

Il governo israeliano ha deliberato un progetto, chiamato "Esther", dal valore di 900 mila dollari, con cui controllare la comunicazione e l'immagine dello Stato Ebraico nel mondo. Infatti, ha assoldato centinaia di influencer, soprattutto americani e con un grande seguito, per fare "propaganda sionista". Tutto pagato da Tel Aviv, viaggio, vitto e alloggio e, per di più, per ogni post messo online da ognuno di loro, il compenso fino a 7000 dollari.

Israele, influencer Usa assoldati per fare "propaganda sionista" pagati fino a $7000 a post nel progetto "Esther" da $900mila

Un’inchiesta di Responsible Statecraft ha rivelato l’esistenza di una vasta campagna di propaganda digitale finanziata direttamente dal governo israeliano e gestita attraverso una società di lobbying statunitense. Il progetto, denominato “Esther Project”, destina fino a 900 mila dollari per pagare un gruppo selezionato di influencer americani incaricati di inondare TikTok, Instagram e altre piattaforme con contenuti favorevoli a Israele.

Secondo i documenti depositati ai sensi del Foreign Agents Registration Act (Fara), gli influencer coinvolti ricevono compensi che oscillano tra i 6100 e i 7300 dollari per singolo post. Una cifra esorbitante, soprattutto se paragonata alla realtà di Gaza, dove centinaia di migliaia di civili non hanno accesso ad acqua, elettricità o cure mediche di base.

Il progetto, orchestrato da Bridges Partners in collaborazione con Havas Media Group Germany, prevede decine di contenuti sponsorizzati ogni mese per presentare Israele sotto una luce positiva mentre, contemporaneamente, i bombardamenti continuano a devastare la Striscia e a uccidere migliaia di donne e bambini palestinesi.

Lo stesso premier Benjamin Netanyahu ha confermato in un incontro a porte chiuse l’importanza della “guerra dell’informazione” e degli “influencer come arma fondamentale” per mantenere il sostegno occidentale. Le rivelazioni mostrano come Tel Aviv non si limiti alle operazioni militari ma investa milioni anche nella manipolazione del dibattito pubblico, trasformando i social network in un campo di battaglia mediatico.

Per gli analisti, questa strategia non è altro che un tentativo di mascherare crimini di guerra e di silenziare le voci palestinesi che denunciano l’assedio e le stragi. L’impiego di influencer pagati, molti dei quali presentano contenuti apparentemente “apolitici”, rende la propaganda ancora più insidiosa, perché mira a normalizzare l’occupazione e a ridicolizzare la solidarietà internazionale.

Mentre i palestinesi resistono a Gaza sotto assedio e privazioni, milioni di dollari vengono spesi per comprare consenso sui social. È la dimostrazione che la battaglia non si combatte solo con bombe e carri armati, ma anche con like e hashtag pilotati da un’industria della disinformazione finanziata dallo Stato israeliano.