Ucraina, tra diplomazia e retorica di guerra della Nato e dell'Ue: la pace resta lontana mentre l’Europa si prepara al peggio
A più di 1300 giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la guerra resta lontana dalla sua conclusione, nonostante gli sforzi diplomatici recenti
Ucraina, il conflitto infinito e il ritorno della diplomazia: ma la pace resta solo un'ipotesi
A più di 1300 giorni dall’inizio del conflitto fra Russia e Ucraina, la guerra resta lontana dalla sua conclusione. Nonostante gli sforzi diplomatici recenti – culminati nel vertice bilaterale del 15 agosto tra Donald Trump e Vladimir Putin, e nel successivo incontro alla Casa Bianca con i principali leader europei – l’impasse resta evidente. Le posizioni di Mosca e Kiev sembrano inconciliabili. La possibilità di un cessate il fuoco, ventilata dallo stesso Trump, è stata subito gelata dalla smentita del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che ha definito “improvvisata” l’ipotesi di un vertice tra Putin e Zelensky. Il conflitto è, in sostanza, in una fase di “movimento immobile”: si negozia per negoziare, si parla di incontri senza alcuna prospettiva concreta di pace. Mosca continua a proporre una narrativa basata sulla rimozione delle “radici del conflitto”, che tradotto vuol dire: un’Ucraina neutrale, smilitarizzata e fuori dalla Nato. Kiev, al contrario, chiede "garanzie di sicurezza" concrete, auspicando l’ingresso nell’Alleanza Atlantica come unica via per garantirsi la sopravvivenza.
Putin rilancia la narrativa delle “cause profonde”
Vladimir Putin ha ribadito nelle sue recenti dichiarazioni che una soluzione equa della crisi ucraina passa per “l’estirpazione delle radici del conflitto”. Una formula ambigua, ma che si fonda su una narrativa consolidata dal Cremlino sin dal 2022: denazificazione dell’Ucraina, protezione della popolazione russofona e lotta alla “russofobia”. Non si tratta solo di propaganda. La posizione ufficiale di Mosca è che Zelensky sia un presidente illegittimo, e che eventuali trattative potrebbero avvenire solo con la Rada (il parlamento ucraino). In questo quadro, l’invito di Putin a Zelensky per un incontro a Mosca appare più un gesto retorico che un’apertura reale. Sul piano giuridico, entrambi gli Stati considerano i territori contesi – Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia, Kherson e Crimea – come parte integrante del proprio Stato. È una contrapposizione non solo politica ma identitaria. La questione della lingua e della cultura russa in Ucraina resta centrale, e Mosca continua ad accusare Kiev di “cancellare” ogni legame con la Russia nei territori sotto il suo controllo.
L’identità come terreno di scontro
Dietro il conflitto militare si cela una battaglia culturale profonda. Per Mosca, l’Ucraina è parte di un mondo russo condiviso, un’estensione storica e linguistica da recuperare. Per Kiev, è invece essenziale affermare la propria autonomia culturale e statuale. Da qui la ferma volontà di Zelensky di procedere verso l’Unione Europea e soprattutto la Nato. Giorgia Meloni, nel solco della tradizione diplomatica italiana, ha avanzato una proposta intermedia: un’Ucraina fuori dall’Alleanza Atlantica, ma protetta da garanzie simili all’articolo 5 della Nato. Una proposta che, tuttavia, non ha trovato sponde né a Mosca né a Kiev.
Gli Stati Uniti tra mediatore e regista
Donald Trump si è detto fiducioso di poter concludere la guerra in tempi brevi. La sua posizione è chiara: la guerra in Ucraina è “una vergogna” e deve finire. Ma dietro questa apparente semplicità si cela una strategia pragmatica: ridurre il coinvolgimento americano in Europa, delegare maggiori responsabilità agli alleati, e trattare con Putin da una posizione di forza. Il passaggio dalla linea ideologica della presidenza Biden a quella transazionale di Trump riflette un cambio di paradigma: meno idealismo, più realpolitik. Gli Stati Uniti non vedono più nella guerra in Ucraina una sfida esistenziale, ma un dossier da chiudere rapidamente. Il rischio? Che la pace diventi un’imposizione dall’alto.
Europa: tra ambiguità e riarmo
Nel frattempo, l’Europa si muove tra incertezze strategiche e timori esistenziali. Paesi come Germania, Francia e Italia spingono per una soluzione che non sacrifichi l’integrità territoriale ucraina. Altri – come Ungheria e Slovacchia – mostrano freddezza e ambiguità, legate anche alla dipendenza energetica dalla Russia. La Germania ha avviato un piano di riarmo massiccio, rompendo un tabù del dopoguerra. Anche l’Italia è al centro di manovre delicate: secondo indiscrezioni, due caccia Eurofighter sarebbero pronti per essere inviati sul Fianco Est nell’ambito dell’operazione “Sentinella dell’Est”. Ma il Ministero della Difesa ha smentito che una decisione sia già stata presa. La pressione degli Stati Uniti per portare la spesa militare al 5% del Pil è un altro nodo critico. Se accolta, potrebbe trasformare il volto della difesa europea. Se respinta, rischia di alimentare le fratture nel rapporto transatlantico.
La Nato sotto accusa
Mosca accusa apertamente la Nato di essere “in guerra con la Russia”. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha dichiarato: “La Nato è di fatto coinvolta nel conflitto, non servono ulteriori prove”. Accuse rilanciate dopo la presunta violazione dello spazio aereo polacco e rumeno da parte di droni russi, episodio che ha portato il Regno Unito a convocare l’ambasciatore russo. Ciò rappresenta l’Occidente come aggressore e la Russia come vittima di un accerchiamento. Una narrativa che continua a fare breccia in parte dell’opinione pubblica internazionale, soprattutto nei Paesi emergenti.
La pace in Ucraina appare oggi più lontana che mai. La diplomazia è tornata a farsi vedere, ma senza risultati concreti. Le posizioni restano distanti, gli interessi in gioco troppo profondi. L’Europa, sospesa tra fedeltà atlantica e autonomia strategica, deve decidere se restare spettatrice o diventare protagonista. Intanto, la guerra continua. E il rischio che diventi il detonatore di un conflitto più ampio – forse globale – non è più fantapolitica, ma uno scenario che molti analisti considerano plausibile. Le parole di Papa Francesco sulla “terza guerra mondiale a pezzi” suonano oggi come un avvertimento fin troppo realistico. Il tempo stringe. E ogni giorno che passa senza una soluzione diplomatica è un passo in più verso l’abisso.
Di Riccardo Renzi