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Il Piano Mattei meloniano alla prova di Russia e Cina: l’Italia rischia di perdere l’Africa e il suo ruolo da hub energetico

È passato più di un anno dal lancio ufficiale del Piano Mattei, il progetto con cui l’Italia, sotto la guida del governo Meloni, ambisce a ricollocarsi al centro delle rotte strategiche tra Africa ed Europa

10 Settembre 2025

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni (fonte: lapresse)

È passato più di un anno dal lancio ufficiale del Piano Mattei, il progetto con cui l’Italia, sotto la guida del governo Meloni, ambisce a ricollocarsi al centro delle rotte strategiche tra Africa ed Europa. L’obiettivo è duplice: da un lato, garantire la sicurezza energetica del Paese svincolandolo definitivamente dalla dipendenza dal gas russo; dall’altro, rafforzare la proiezione internazionale italiana attraverso una cooperazione “non predatoria” con i Paesi africani. Un'ambizione legittima e lungimirante, ma che si scontra ora con nuove sfide geopolitiche, in particolare con l’aggressiva avanzata diplomatica ed economica di Russia e Cina nel continente africano.

Nel 2023 l’Italia è riuscita a ridurre al minimo la quota di gas importato dalla Russia, scesa sotto il 5% grazie a un’efficace diversificazione delle fonti e all’incremento dell’importazione di GNL via mare da Qatar, Stati Uniti e Algeria. Quest’ultima, in particolare, è diventata il principale partner energetico di Roma attraverso il gasdotto TransMed. Tuttavia, proprio su questo fronte, una nuova alleanza rischia di minare il fragile equilibrio costruito negli ultimi due anni: l’Algeria si appresta a firmare un accordo strategico con il colosso russo Gazprom per lo sviluppo di un vasto giacimento di gas nel sud del Paese.

L’ingresso della Russia nei giacimenti algerini è un segnale di allarme per l’Italia. Se da un lato i flussi di gas destinati all’Europa non si interromperanno, dall’altro la presenza russa potrà incidere direttamente sulla leva contrattuale di Algeri nei confronti di Roma, oltre a rappresentare un aggiramento delle sanzioni europee nei confronti di Mosca. Di fatto, l’Italia rischia di tornare esposta a una dipendenza energetica “mascherata, in cui il gas russo torna a circolare nei mercati europei sotto bandiere diverse.

La stessa FederPetroli Italia ha lanciato l’allarme, sottolineando come questi sviluppi possano “destabilizzare la politica energetica italiana e i contratti già siglati”. Un rischio concreto, soprattutto in un contesto in cui la diplomazia russa ha allargato i propri orizzonti: oltre all’Algeria, Mosca ha rafforzato la propria influenza anche in Mali, Libia, e Sudan, dove offre in cambio della cooperazione militare concessioni energetiche e infrastrutturali.

Parallelamente, la Cina non ha mai rallentato la sua espansione in Africa: il volume degli scambi con il continente ha superato i 200 miliardi di dollari e Pechino continua a finanziare porti, strade, dighe e ferrovie, legando a sé interi Paesi attraverso prestiti condizionati. Anche il corridoio di Lobito, in cui l’Italia è recentemente entrata con un investimento di 320 milioni di euro, rischia di essere terreno di competizione tra l’approccio multilaterale promosso da Roma e Bruxelles, e quello bilaterale, rapido e opaco, offerto dalla Cina.

Il Piano Mattei, nonostante le buone intenzioni, è ancora in una fase embrionale. I progetti attivati sono 21, selezionati senza una visibile coerenza strategica e prevalentemente in Paesi già “amici”. La mancanza di un documento programmatico pubblico ne riduce la trasparenza e l’efficacia. E, al di là della retorica sul partenariatoparitario”, l’approccio resta ancora troppo top-down, con scarsa partecipazione delle società civili africane.

Il governo Meloni, con il vertice Italia-Africa del gennaio 2024, ha indubbiamente mostrato capacità di iniziativa diplomatica, riunendo a Roma 21 capi di Stato e di Governo africani. Ma per mantenere la leadership acquisita non bastano gli incontri simbolici: serve una strategia concreta, integrata e soprattutto reattiva rispetto alle trasformazioni geopolitiche in corso.

La Libia, ad esempio, rappresenta una ferita aperta per la politica energetica italiana. I recenti attacchi ai giacimenti gestiti da Eni evidenziano quanto siano fragili le concessioni energetiche in contesti instabili. E se Mosca dovesse rafforzare ulteriormente i suoi legami con Tobruk o influenzare Tripoli, l’Italia rischierebbe di perdere una delle sue più storiche roccaforti nel Mediterraneo. Non va dimenticato che Rosneft ha già siglato intese con la National Oil Corporation libica nel 2017.

Anche nel Corno d’Africa, dove l’Italia tradizionalmente ha un certo radicamento, Ankara sta ampliando il proprio raggio d’azione, mediando nel conflitto Etiopia-Somalia e rafforzando la propria influenza in Somalia e Sudan. La Turchia, pur essendo membro NATO e candidata UE, gioca una partita autonoma, spesso più efficace sul campo rispetto alle lentezze della diplomazia comunitaria.

Il Piano Mattei, per non diventare un’occasione sprecata, deve quindi evolversi. Non basta più parlare di partenariato paritario: bisogna renderlo reale. Serve maggiore trasparenza nei progetti, più coinvolgimento delle società civili africane, e un’accelerazione concreta sul fronte degli investimenti. Allo stesso tempo, è fondamentale che l’Italia non agisca in ordine sparso: solo l’integrazione del Piano Mattei all’interno di programmi europei come il Global Gateway può garantirgli sostenibilità e credibilità.

L’alternativa è il rischio della marginalizzazione. In un’Africa sempre più contesa da potenze globali, l’Italia ha ancora uno spazio da giocare, ma deve farlo con determinazione, visione strategica e capacità d’esecuzione. L’ambizione di trasformarsi in un hub energetico euro-africano resta valida. Ma senza un salto di qualità, l’Italia rischia di perdere la sua scommessa.

Di Riccardo Renzi

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