21 Maggio 2025
Volodymyr Zelensky e Joe Biden, fonte: Imagoeconomica
Per quasi 3 anni, prima del ritorno di Donald Trump, gli Stati Uniti e l’Ucraina non solo erano alleati, combattevano, di fatto, “insieme”. Una partnership segreta quella tra Biden, la CIA e Zelensky. Gli Usa avrebbero guidato le risposte di Kiev agli attacchi russi tramite una base segreta a Wiesbaden.
A svelare questa realtà è una monumentale inchiesta del New York Times, firmata dal reporter investigativo Adam Entous. Più di 300 interviste, oltre un anno di lavoro, documenti riservati e testimonianze raccolte in almeno 10 Paesi. Il quadro che emerge è inequivocabile: l’intervento statunitense non è stato solo un sostegno dall’esterno, ma un coinvolgimento diretto, operativo, e strategico.
Al centro della rete: una guarnigione americana a Wiesbaden, in Germania, dove la “Task Force Dragon” – un’unità segreta congiunta – guidava la guerra giorno per giorno. Qui, ufficiali americani e ucraini analizzavano immagini satellitari, intercettazioni e dati d’intelligence per individuare bersagli russi. Ogni mattina si decidevano le priorità operative: obiettivi da colpire, movimenti da eseguire. Per evitare provocazioni politiche, quei bersagli non venivano chiamati “target”, ma “punti di interesse”.
Questa cabina di regia fu cruciale soprattutto nella primavera del 2022, quando Washington decise di fornire a Kiev i sistemi HIMARS – artiglieria di precisione con gittata fino a 80 km. Ogni attacco, almeno inizialmente, era supervisionato e coordinato dalla Task Force Dragon. Il risultato fu la migliaia di perdite tra le file russe e una controffensiva ucraina, quella dell’autunno 2022, sorprendentemente efficace.
Dall’inizio, la Casa Bianca ha cercato di mantenere una narrativa chiara: “Non combattiamo contro la Russia, ma aiutiamo l’Ucraina”. Tuttavia, per evitare una reazione sproporzionata da parte del Cremlino – attacchi alla NATO o, peggio, uso di armi nucleari – molte operazioni furono condotte nell’ombra.
Wiesbaden fu autorizzata a inviare consiglieri militari a Kiev, inizialmente camuffati da “esperti in materia”. In pochi mesi, il team americano si espanse fino a includere decine di ufficiali presenti anche vicino alla linea del fronte. Nel frattempo, la Marina USA supportava gli attacchi ucraini con droni contro navi russe nel Mar Nero, e la CIA assisteva le operazioni nella Crimea annessa.
Nel gennaio 2024, la cooperazione raggiunse un nuovo apice: l’Operazione Lunar Hail. Militari americani e ucraini pianificarono insieme una campagna per colpire circa 100 obiettivi militari russi in Crimea. La missione riuscì a tal punto che Mosca fu costretta a ritirare uomini e mezzi verso la Russia continentale.
Contemporaneamente, un altro tabù veniva infranto: gli attacchi sul suolo russo. Per proteggere Kharkiv da un’imminente offensiva, Washington creò un “ops box”, una zona di territorio russo dove era consentito fornire coordinate precise all’Ucraina. La CIA, pur vincolata da regole più rigide, riuscì ad ottenere esenzioni (“variazioni”) per colpire obiettivi strategici come il deposito di munizioni a Toropets: un’esplosione devastante che fece tremare il suolo come un terremoto.
Se la prima fase della guerra fu segnata da un sorprendente successo ucraino, la controffensiva del 2023 si rivelò una sconfitta. A determinare il fallimento non furono i russi, ma le spaccature interne a Kiev.
Il generale Valery Zaluzhny voleva attaccare Melitopol, chiave strategica nel Sud. Ma il colonnello generale Oleksandr Syrsky, con il sostegno diretto del presidente Zelensky, spinse per Bakhmut. Le forze e le munizioni furono divise su 2 fronti, rendendo inefficace entrambi. Kiev perse l’iniziativa, Mosca riconquistò terreno.
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