09 Dicembre 2025
Stipendi in Italia: confronto con l'Eurozona
Un Paese che lavora ma resta sospeso
C’è un’Italia che ogni giorno timbra il cartellino, risponde nei call center, accompagna turisti nei musei, traduce testi e cresce bambini negli asili comunali. Un’Italia che produce valore ma non riesce a costruire una vita stabile. Il dossier di NIdiL-CGIL, basato sui dati della Gestione Separata INPS, dipinge un quadro severo: più di un milione tra collaboratori e partite IVA “esclusive” sopravvive con compensi insufficienti e nessuna possibilità di programmare il futuro.
Redditi troppo bassi per vivere
Gli importi medi parlano chiaro. I collaboratori esclusivi si fermano a circa 8.500 euro l’anno, che scendono a 6.800 per le donne e a 5.500 per gli under 35. I professionisti senza albo arrivano a poco più di 18.000 euro, con gap di genere e generazione ancora più marcati. Paradossalmente, molti di loro hanno alta formazione, ma si ritrovano intrappolati in un’“autonomia” fittizia che nasconde una reale subordinazione economica.
Tutele sociali quasi inesistenti
Il nodo non è solo il reddito: è la totale assenza di protezione sociale. Il 22,5% dei collaboratori e decine di migliaia di freelance versano contributi senza maturare un solo mese di copertura previdenziale. Sono i cosiddetti contribuenti netti, lavoratori che finanziano il sistema senza ricevere alcuna tutela. Anche tra chi raggiunge un anno contributivo pieno – possibile solo superando i 18.500 euro annui – le percentuali crollano: appena l’8% dei collaboratori e il 35% dei professionisti.
Pensioni che garantiscono solo povertà
Con carriere discontinue e contributi intermittenti, la pensione diventa un miraggio. Chi riesce a racimolare 30 anni di versamenti potrà ritirarsi tra i 64 e i 67 anni, con assegni che raramente superano gli 850 euro. Per la maggioranza assoluta, invece, la soglia è 71 anni. Un traguardo che non assicura dignità, ma solo vecchiaia in povertà.
Il paradosso della Gestione Separata
La contraddizione più evidente è l’attivo strutturale: quasi 10 miliardi nel 2024. Questi lavoratori versano contributi ingenti, ma ricevono pochissimo. Un surplus stabile, che svela un utilizzo distorto delle risorse: chi ha meno diritti finisce per sussidiare il sistema, senza vedersi riconosciuta alcuna tutela reale.
Un mercato del lavoro sempre più fragile
Il precariato non riguarda soltanto gli autonomi: sei milioni di dipendenti sono a termine o in part-time involontario. I giovani sotto i 34 anni affrontano tassi di instabilità tripli rispetto agli over 50. E la conseguenza è sotto gli occhi di tutti: emigrazione crescente, soprattutto tra i laureati, e un Paese che perde capitale umano qualificato.
Serve una svolta politica immediata
La legge di Bilancio ignora completamente questo scenario: nessun intervento su compensi minimi, continuità contributiva, ammortizzatori, pensioni. Non è un dettaglio tecnico: è una questione di tenuta democratica. Un Paese europeo non può sacrificare un’intera generazione di lavoratori invisibili. Rimettere al centro il valore del lavoro – e non la sua erosione – è l’unica strada per rilanciare crescita, natalità e coesione sociale. Il cambiamento non è un auspicio: è una urgenza strutturale.
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