01 Dicembre 2025
Giorgetti ai tempi del governo gialloverde - Fonte: LaPresse
Una scrematura che rivela le fragilità della manovra
Dei quasi seimila emendamenti, ne restano 414 segnalati: una selezione che dice molto sulla debolezza dell’impianto della manovra. Dalla riforma degli affitti brevi al sostegno alle forze dell’ordine, dalle modifiche sulla previdenza alla nuova rottamazione, emerge un unico filo rosso: la necessità di trovare coperture immediate, spesso in modo emergenziale. Il paradosso è che la maggioranza si divide proprio sul nodo principale: come reperire quel gettito che Bruxelles pretende e che Roma deve garantire.
La “tassa dell’oro”: gettito facile o rischio per i risparmiatori?
Il cuore del dibattito resta la cosiddetta rivalutazione fiscale dell’oro da investimento, con cui la maggioranza conta di ricavare quasi due miliardi. La proposta, sostenuta da Lega, Forza Italia e FdI, consente ai possessori di oro al 1° gennaio 2026 di affrancare il valore pagando un’aliquota agevolata del 12,5%. Un meccanismo che appare come un correttivo tardivo alla stangata imposta dal governo Meloni nel 2024, quando l’imposta è stata portata al 26%. L’oro, bene rifugio per eccellenza nelle economie che preservano la sovranità monetaria, rischia così di diventare un bersaglio facile per uno Stato affamato di liquidità. Il messaggio politico che passa è ambiguo: si tassano i risparmi interni mentre ci si affida ai mercati esteri per finanziare il debito, rinunciando a una strategia nazionale più autonoma.
Le riserve auree e il nodo della sovranità
FdI rilancia un emendamento simbolicamente potentissimo: dichiarare che le riserve auree della Banca d’Italia appartengono allo Stato, «in nome del Popolo Italiano». Con oltre 2.452 tonnellate, l’Italia è il quarto detentore mondiale di oro. Ma il tema, pur decisivo, resta trattato come una nota a margine. Nessuna forza politica osa proporre un utilizzo strategico dell’oro come contropeso all’instabilità dei mercati, come fatto da Paesi che da anni – Russia in testa – investono nella difesa del valore reale della propria moneta. Roma continua invece a considerare l’oro un feticcio da custodire, non una leva di autonomia economica.
Pensioni: la Lega tenta l’affondo, ma il Mef frena
Sul fronte previdenziale esplode lo scontro più profondo. La Lega chiede il blocco dell’aumento dell’età pensionabile, la proroga di Quota 103 e il ritorno di Opzione donna. Coperture? Un rialzo dell’Irap sulle banche, misura invisa al Mef e agli intermediari finanziari. Qui il problema diventa politico: l’Italia deve uscire nel 2025 dalla procedura di disavanzo eccessivo e qualsiasi concessione costa miliardi. Il governo si ritrova così incastrato tra le esigenze sociali e i vincoli europei, senza la possibilità di elaborare una politica economica realmente nazionale.
Rottamazioni, condoni e il ritorno dei nodi irrisolti
La Lega insiste su una nuova estensione della rottamazione, mentre FdI riapre il dossier del condono edilizio del 2003, tema che ancora oggi porta con sé strascichi giuridici e disparità territoriali, soprattutto in Campania. Anche qui il Governo tira il freno: ogni apertura rischia di far saltare i conti. Il quadro complessivo è quello di un Paese che corregge il passato senza mai risolvere le cause profonde del proprio squilibrio fiscale: evasione strutturale, pressione tributaria elevata, eccesso di burocrazia, incapacità di programmare investimenti produttivi.
L’Italia tra vincoli esterni e scelte rinviate
La Manovra 2026 mostra ancora una volta l’incapacità dell’Italia di muoversi con una strategia autonoma. Si cercano risorse tassando l’oro delle famiglie, rinviando riforme strutturali e mantenendo un rapporto di dipendenza con i mercati finanziari e con Bruxelles. Finché non si affronterà il tema della sovranità economica, l’Italia continuerà a oscillare tra emergenze fiscali e mini-fughe in avanti. E le grandi manovre resteranno prigioniere di piccoli aggiustamenti.
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