10 Settembre 2025
È stato arrestato dagli agenti della Digos di Brescia con l’accusa di indottrinamento, propaganda estremista e del tentativo reiterato di arruolare giovani da impiegare in azioni terroristiche. Secondo gli investigatori Khalil Ullah, 37 anni, cittadino del Bangladesh e dipendente di una ditta di filati, dalla sua casa di Castel Goffredo (nel Mantovano), dove adesso si trova recluso ai domiciliari ristretti, grazie alla tecnologia - chat su WhatsApp, video su Youtube e la lettura dei testi sacri del Corano su Facebook - riusciva a fare proselitismo. Come nel caso di un operaio di Sestri Ponente, suo connazionale, che nel tempo aveva plasmato a sua immagine e somiglianza inculcandogli l’idea del martirio. Faysal Rahman, 22 anni, prima di sposare la causa dell’organizzazione terroristica Tehrik Taliban Pakistan (Ttp), gruppo nell’orbita di Al Qaeda che vuole sovvertire il governo pachistano per istituire un emirato fondamentalista, lavorava in subappalto nei cantieri navali, vestiva all’occidentale e si divertiva a postare filmati divertenti come qualunque suo coetaneo. Dopo essere stato avvicinato dalla “guida spirituale” però, aveva cambiato le sue abitudini. Al punto da farsi crescere barba e capelli come i salafiti, licenziarsi per essere pronto a lasciare la famiglia e imbarcarsi su un volo che - secondo le accuse contestate dalla Direzione distrettuale antimafia di Genova - lo avrebbe portato prima in Spagna e poi a combattere con i fondamentalisti.
Una guerra alla quale si era preparato con un addestramento “fai da te” che aveva filmato e mostrato sul suo canale Youtube. Un piano fallito perché il fratellino di Faysal, che condivideva la cameretta con lui, a scuola aveva fatto dei disegni che richiamavano lo jihadismo e che avevano allarmato i suoi insegnanti: come la moschea di Al Aqsa con accanto un fucile mitragliatore, che aveva visto sul computer del fratello maggiore. Un’arma che aveva colpito la sua immaginazione, dato che ritornava spesso nelle pagine dei quaderni che i responsabili dell’istituto scolastico avevano consegnato agli investigatori. Mentre Rahman attendeva il suo destino, dopo l’arresto è stato portato nel super carcere di Sassari - che accoglie i sospettati di terrorismo in attesa di giudizio - e condannato in primo grado a 3 anni, 1 mese e 10 giorni con il rito abbreviato (in appello, grazie al concordato, la pena definitiva si è ridotta a 2 anni e 8 mesi), il pubblico ministero Federico Manotti, inviava gli atti relativi a Ullah alla procura di Brescia. E dai dispositivi del trentasettenne di Castel Goffredo sono saltate fuori gli indizi che ieri mattina hanno portato al suo arresto. Vedi ad esempio i continui incitamenti che faceva agli allievi come Faysal al passaggio all’azione e al ricorso alla jihad violenta «come forma di manifestazione della supremazia islamica e di lotta contro gli infedeli, con la prospettiva di una ricompensa da parte di Allah».
La giudice per le indagini preliminari di Brescia Angela Corvi ha disposto che Ullah non possa lasciare casa e avere contatti se non con moglie e figlie. Vietate le comunicazioni con qualsiasi canale. Perché la giudice ritiene che esista il pericolo che Ullah continui a commettere gli stessi reati. Cioè arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale e istigazione a commettere gravi reati. E i mezzi utilizzati da Ullah sono stati in primis social network e app. Potenzialmente diretti a migliaia di giovani.
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