06 Luglio 2024
Tre anni, un mese e 10 giorni: è la pena stabilita dalla corte d’Assise di Genova per Faysal Rahman, l’operaio di 22 anni di origine bengalese arrestato dalla Digos lo scorso novembre con l’accusa di far parte del gruppo terrorista pachistano Tehrik e Taliban Pakistan (TTP), nell’orbita dei fondamentalisti di Al Qaeda.
Il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, Federico Manotti, aveva chiesto una pena di sei anni. L’Avvocatura dello Stato si era costituita parte civile per conto della Presidenza del Consiglio e ha ottenuto il diritto al risarcimento. I giudici hanno anche stabilito che l’imputato, quando avrà terminato di scontare la pena (attualmente si trova recluso nel carcere di Sassari), dovrà essere espulso dal territorio italiano. Eventualità, questa, che però dovrà essere valutata dal Tribunale di Sorveglianza, che sarà chiamato - quando sarà il momento - a giudicare se Rahman è ancora un soggetto pericoloso oppure no.
L’operaio, che fino allo scorso novembre abitava insieme alla sua famiglia a Sestri Ponente e lavorava alle dipendenze di una ditta che opera in subappalto nei cantieri navali, sui social - era particolarmente attivo su Facebook e Youtube - diffondeva video di attentati e azioni cruente. Si era anche addestrato da solo, facendo esercizi ginnici che riprendeva con il telefonino. Aveva acquistato le istruzioni per l’utilizzo di armi da fuoco. In particolare, del fucile mitragliatore AK 47. Nella vita reale sembrava una persona molto tranquilla, schivo e all’apparenza anche un po’ timido. Sul web, invece, si trasformava. A cominciare dai nomi che usava: oltre a Guerriero di Dio, pure Amante di Al Qaeda. Diceva di essere disposto al martirio. Gli inquirenti hanno ricostruito la svolta violenta: risale al 2019, quando abbandona TikTok, dove pubblicava filmati che nulla avevano a che fare con religione e politica, e comincia a frequentare Facebook e Instagram soltanto per mettere in evidenza messaggi sulla religione islamica, sulla missione del “buon musulmano” e sulle tesi della jihad palestinese. È il punto di non ritorno. Anche perché sui social si muoveva da esperto, cambiando spesso gli account che usava per istruire i suoi adepti. Gli inquirenti ne hanno contati almeno cinque. Più i canali Telegram e Whatsapp.
Le manette sono scattate non appena gli investigatori hanno temuto che l’operaio volesse lasciare l’Italia per raggiungere i componenti della cellula terroristica e compiere attentati in Europa o per raggiungere - da Spagna o Francia - il Pakistan. È stato quindi trasferito nel carcere di Sassari. Contemporaneamente è stato aperto un fascicolo parallelo che vede indagati a piede libero due persone accusate di fare proselitismo. E di essere i maestri di Faysal. Al momento, l’indagine è ferma in attesa dell’analisi dei supporti informatici sequestrati.
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