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Cerchiamo di razionalizzare quello che vuol fare Putin

Grazie all’analisi di Massimo Morelli (Dipartimento di Economia) e Umberto Platini (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche) dell’Università Bocconi

02 Marzo 2022

Cerchiamo di razionalizzare quello che vuol fare Putin

Presentiamo la sintesi di quanto pubblicato in inglese sulla testata dell'Università Bocconi viasarfatti25

Putin e i suoi obiettivi primari

Si è sempre saputo che l'obiettivo principale di Putin era evitare a tutti i costi che l'Ucraina potesse aderire alla NATO, portandola alle porte della Russia. Le promesse informali fatte a Gorbaciov nel 1990 di non espandere l'alleanza verso est sono state deluse sia nel 1999 sia nel 2004, con l’adesione delle repubbliche baltiche, Polonia, Romania, Bulgaria. Dopo l'elezione del filoeuropeo Zelenskyy alle elezioni ucraine del 2019, si stava per completare il ciclo. Per Putin, questo rappresenta uno scenario inaccettabile. Tutti gli altri obiettivi principali sono intrinsecamente legati a questo punto. Una certa mancanza di coordinamento fra i Paesi europei e la presenza di leader politici russofili contrari all'imposizione di sanzioni visti gli ingenti costi che avrebbero sopportato sulle esportazioni nazionali sono state carte in più a favore di Putin.

Il secondo obiettivo di Putin riguarda la garanzia delle esportazioni di gas con il massimo profitto possibile. Ma gli oleodotti Nord Stream 1 e 2 permetterebbero alla Russia di bypassare il percorso attraverso l'Ucraina, quindi non sembra che questo sia un motivo reale per volerla annettere.

I motivi dell’escalation

Perché allora scatenare una guerra, o voler annettere tutta l’Ucraina, quando potrebbe essere sufficiente fermarsi al Donbas o al fiume Dnepr? Forse la risposta sta nell’esigenza di un completo controllo del potere da parte di Putin, una questione di egemonia. Se pensiamo agli interessi privati ​​di Putin o Gazprom, le sanzioni previste e la chiusura di NordStream 2 possono ridurre i profitti anche in caso di vittoria. Le ragioni della guerra devono quindi essere di natura diversa.

Chi è l'egemone emergente?

Con un prodotto nazionale paragonabile alla Corea del Sud e il PIL pro capite della Malesia, la federazione russa ha prestazioni peggiori della maggior parte delle ex repubbliche sovietiche in termini di indice di sviluppo umano. Tuttavia, dopo decenni di crescita lenta, privi di un'agenda di politica estera comune e con una leadership disunita, l’Unione europea non sembra poter ambire ad essere la prossima grande potenza mondiale. L'erosione delle istituzioni democratiche in alcuni Stati membri dell'UE solleva anche dubbi sulle possibilità di esportare ulteriormente il modello democratico. L'invasione dell'Ucraina rappresenterebbe il tentativo di acquisire un asset cruciale per scoraggiare il futuro egemone, chiunque esso sia, ma è molto improbabile che il contributo militare dell'Ucraina alla NATO cambi le regole del gioco. Non è chiaro se USA e UE siano nella stessa posizione di potere crescente: comunque la razionalizzazione della guerra preventiva non è convincente.

Un ampliamento della prospettiva può dare un’interpretazione migliore. Nell'arena globale, l'erosione dello status americano come potenza globale lascia il posto all'unilateralismo da parte di una Cina in ascesa e di una Russia che freme. A questo proposito, la recente partnership siglata lo scorso 4 febbraio tra i due Stati sembra gettare le basi per una futura alterazione dell'attuale status quo europeo e del Pacifico garantito dalla potenza americana. Alla luce di ciò, sia l'invasione dell'Ucraina, sia una possibile futura acquisizione di Taiwan completerebbero il quadro di una sfida più ampia alla pax americana in affanno.

Guerra di potere

Tuttavia ancora non si comprende perché tra il 21 e il 24 febbraio Putin abbia optato per una massiccia escalation del conflitto piuttosto che gestire lo status quo esistente. Per razionalizzare la scelta di Putin ci sono una serie di elementi da considerare. In primo luogo, si dovrebbe dare una valutazione iniziale al valore atteso di continuazione dello status quo al 21 febbraio. Occorre poi formulare congetture sugli scenari più probabili condizionati alla scommessa del conflitto, e sui valori stocastici associati alla realizzazione di ciascuno scenario, al fine di giustificare il suo comportamento in un'ottica di scelta razionale.

Gli aspetti economici

Secondo i dati del 2019 (fonte: Banca mondiale), le rendite totali delle risorse naturali rappresentavano circa il 13% del PIL russo. Con l'emergere del covid e la successiva chiusura della produzione globale, è molto probabile che cresca la dipendenza dalle risorse naturali come il gas come quota del PIL. Ciò indica una possibile fragilità per sostenere un conflitto a lungo termine, a maggior ragione considerando i possibili ritardi nel progetto NordStream 2 e le inevitabili sanzioni. Accettare lo status quo del 21 febbraio avrebbe costituito un importante elemento di incoerenza: il peggioramento delle condizioni economiche per la Russia crea un cuneo estremamente ampio tra la sua massiccia capacità militare e la sua capacità economica e politica. Inoltre, le tendenze globali incentrate sugli investimenti in risorse rinnovabili progettate per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi e scongiurare la crisi climatica probabilmente diminuiranno il valore futuro atteso dello status quo per i Paesi che traggono gran parte della loro ricchezza dall'estrazione di risorse naturali. Secondo la teoria del mismatch delle guerre di potere (Herrera, Morelli e Nunnari, "A theory of power wars", Quarterly Journal of Political Science, 2021), la distanza relativa tra forza militare e ricchezza è un determinante cruciale del conflitto, e tale discrepanza è notevolmente aumentata negli ultimi anni.

Il ruolo di Zelenskyy

Il sostegno a Zelenskyy è stato schiacciante nelle ultime elezioni presidenziali, con la popolazione che abita nelle aree occidentali in disaccordo con i leader di tendenza russa. Ciò suggerisce che anche nel caso della vittoria russa, la probabilità di disordini su larga scala è estremamente alta, diminuendo quindi il valore atteso della vittoria. D'altra parte, un'invasione totale aumenta la probabilità che, anche se il cambio di regime a Kiev non avrà successo, un'entità politica compiacente si stabilirà sulla sponda orientale del fiume Dnepr. Questo alla fine potrebbe essere lo scenario che Putin cercherà di ottenere.

La teoria del mismatch delle guerre di potere

Riassumendo, la teoria del mismatch delle guerre di potere, il disequilibrio, prevede che una diminuzione del valore atteso dello status quo e un aumento delle probabilità di vittoria della Federazione Russa potrebbero aver influito sulla sua decisione di andare avanti fino in fondo nell’acquisizione di tutta l’Ucraina perché, in caso di vittoria, aumenterebbe il monopolio sulla fornitura di gas, diminuirebbero le minacce di espansione verso est da parte dell'alleanza atlantica e si potrebbe stabilire una ridefinizione migliore dello status quo. Non basterebbe un accresciuto mismatch per razionalizzare l'escalation in presenza di costi molto elevati, ma è qui che entra in gioco la Cina: l'aspettativa che la Cina possa assorbire parte delle esportazioni di gas russe che saranno bloccate dalle sanzioni occidentali riduce di fatto la percezione dei costi delle sanzioni stesse. Tuttavia, la Cina non riuscirà ad assorbire la domanda europea di gas prima del medio-lungo termine. Né è credibile che Putin voglia legarsi troppo strettamente a una Cina così potente. Il supporto cruciale che Xi Jinping può dare a questo punto è essenzialmente politico. In quella che molto probabilmente diventerà una guerra difficile, in cui sia gli obiettivi di Putin sia il loro costo monetario saranno elevati, sarà cruciale evitare l'isolamento politico nell'arena internazionale.

Dove sono i vantaggi?

L'invasione su larga scala dell'Ucraina per ora sta creando solo danni a Putin. Perfino i principali partiti europei russofili lo hanno condannato e anche il presidente britannico Boris Johnson si sta allineando agli altri leader europei. E’ sempre più lontana la riapertura di NordStream 2 e le quotazioni azionarie dei principali attori dei comparti energetici russi sono scese vertiginosamente, con Gazprom in calo di oltre il 25% in un giorno. La borsa di Mosca ha sospeso le negoziazioni dopo aver perso oltre 200 miliardi di valore e manifestazioni spontanee non approvate si sono sviluppate ovunque anche in territorio russo: non basta reprimerle violentemente per riacquistare il controllo.

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