28 Novembre 2025
Umberto Veroni e Sultana Razon
«Parliamo sempre di lui come se fosse ancora qui». Sultana Razon Verones - Susy, come l'hanno sempre chiamata in famiglia - si guarda attorno nel salone della sua casa in centro a Milano, i mobili e le pareti pieni zeppi di quadri e fotografie, i figli Alberto e Paolo, rispettivamente direttore d'orchestra e direttore della Senologia dello Ieo, l'Istituto europeo di Oncologia accanto a lei. «Ogni tanto mi ritrovo a parlare con lui come se fosse accanto a me, quasi mi sembra di vederlo. Anche per questo mi piacciono tutte queste fotografie, mi fanno ripensare ai nostri 63 anni insieme. Sono passati nove anni da quando è morto, ma non se ne è mai andato». Oggi Umberto Veronesi avrebbe compiuto 100 anni: è stato oncologo pionere, fondatore dello Ieo di Milano, ministro della Salute, senatore della Repubblica. «Papà — ricorda Paolo Veronesi — si è sempre battuto per l’innovazione in campo medico-chirurgico. Ma non ha mai dimenticato di mettere al centro la paziente, di considerarla una persona. Diceva che a guarire non è solo la medicina, ma anche la carezza».
Come avreste festeggiato questi cento anni?
Sultana Razon: «Con un pranzo a casa: con Umberto frequentavamo tante persone, andavamo alle prime, alle cene, agli eventi. Ma lui in queste occasioni preferiva stare in famiglia».
Alberto Veronesi: «Oggi papà oltre ai suoi sette figli, avrebbe 19 nipoti e due pronipoti. Due, tra i nipoti, portano il suo nome: siamo una grandissima famiglia. E lui a questo teneva molto».
Paolo Veronesi: «Ogni domenica si pranzava insieme. Lui, anche se era un giorno festivo, al mattino passava sempre dall’istituto (l’Istituto nazionale dei Tumori, che Veronesi ha a lungo diretto prima di fondare lo Ieo, ndr) e al ritorno andava in pasticceria: tornava con questi vassoi colmi di pasticcini, e noi figli facevamo a gara a chi ne mangiava di più. Sono ricordi dolcissimi». Una famiglia unita. S.R.: «Molto, i litigi li abbiamo sempre superati».
Nel suo libro (“Il cuore, se potesse pensare”, Bur, 2014) ha parlato non solo di litigi ma anche di tradimenti…
S. R.: «È vero, ci sono stati. Per un anno, dopo la scoperta di Francesco (l’ultimo figlio di Veronesi, nato da una relazione extraconiugale, ndr) non ci siamo parlati: andavamo ogni sera a dormire, nello stesso letto, voltando l’uno le spalle all’altro. Nessuno dei due voleva rinunciare o cedere: lui non voleva andare via di casa, io non volevo perdonarlo. Ma poi abbiamo ripreso a parlare. E la nostra vita insieme è ricominciata».
E siete rimasti insieme fino all’ultimo.
S. R.: «Nei giorni prima che morisse lo accudivo, lo sistemavo, lo facevo mangiare. In uno di quei momenti, poco prima di morire, lui mi ha guardato e mi ha detto “Susy, come sei bella”. È l’ultima cosa che mi ha detto. E mi commuove oggi come nove anni fa».
Avete avuto una vita impegnativa?
S. R.: «Io lavoravo in ospedale, ero pediatra, facevo le notti e nel frattempo crescevo i figli. Lui era sempre in istituto, faceva ricerca, cercava di introdurre innovazioni, a partire dalla quadrantectomia che consente alle donne di mantenere la mammella asportando soltanto il tumore. Una novità rivoluzionaria, alla quale in tanti all’epoca guardarono con sospetto, ma che si è rivelata fondamentale per migliaia e migliaia di pazienti. Quindi sì, si può dire che abbiamo avuto una vita impegnativa insieme. Ma ne è valsa la pena».
È stato un padre presente?
A. V.: «Quando c’era, ti dedicava completa attenzione. E ti spingeva a trovare la tua strada: nel mio caso, mi ha spinto verso la musica, a studiare prima pianoforte e poi direzione d’orchestra. Del resto, lui la musica l’amava e ne ascoltava tantissima: Beethoven, ma anche Luciano Berio, di cui era amico come di Claudio Abbado».
P. V.: «Era un padre che non alzava mai la voce. Ricordo solo una sgridata particolarmente importante, quando eravamo ancora bambini: io ero il primogenito ed ero geloso dei fratelli nati dopo di me. Litigai con mio fratello Marco, forse alzai addirittura le mani: ecco, in quel caso si arrabbiò moltissimo. Per lui la violenza era inaccettabile». Non violento, pacifista, vegetariano. A favore del nucleare, delle coppie omosessuali e del fine vita: con un gioco di parole, un uomo “di altri tempi” in anticipo sui tempi?
P. V. e A. V.: «A papà piaceva spingere alla riflessione e al confronto. Era provocatorio: a cena ogni sera tirava fuori un argomento, “che ne pensate del nucleare?” oppure “si deve fare il testamento biologico?”. E faceva partire le discussioni: una gran cosa, soprattutto se si pensa che era un uomo nato, appunto, cento anni fa» Non una grande festa, quindi, ma un semplice pranzo: per festeggiare i cento anni cosa avreste mangiato?
S. R.: «Amava gli spaghetti al pomodoro. Probabilmente avremmo cucinato quelli, erano il suo piatto preferito, li mangiava appena possibile. E io, oggi, li mangio ancora».
Di Alessandra Corica
Fonte: La Repubblica
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