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Sorrentino convince con La Grazia

Il regista napoletanno riceve applausi a Venezia dalla critica nazionale e internazionale

28 Agosto 2025

Sorrentino convince con La Grazia

Copyright Andrea Pirello

Paolo Sorrentino torna in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con il film d'apertura. Il film parla della figura di Mariano De Santis, Presidente della Repubblica, che deve affrontare il dilemma di dover concedere la grazia a due detenuti. Il tema del dubbio risulta centrale come anche la rigidita’ insita del personaggio. Il film tratta magistralmente temi alti come il diritto e si concede poi a personaggi travolgenti nel loro umorismo coma la vulcanica Coco Valori. Accolto bene a Venezia, il film avra’ sicuramente un ottimi risultati in futuro...

In una stanza di un hotel superlusso al lido il cast del film ha concesso un`incontro stampa ristretto. 

D:La Grazia, da dove viene il titolo?

Paolo Sorrentino: Il titolo va di pari passo con la dichiarazione che sia un film d’amore. Si tratta di un film sull’amore, non solo quello più immediato, ma anche in senso più ampio: per la moglie, per la figlia, per le istituzioni, su un modo di fare politica che purtroppo è sempre più inattuale, legato all’esercizio del dubbio e della responsabilità. In questo senso è un film sull’amore. Per quanto riguarda il mio “amore” per Tony, quello è incondizionato, non ha mai conosciuto crisi - non abbiamo mai litigato a memoria mia, non siamo nemmeno arrivati all’idea di litigare -. Io e lui ci troviamo a meraviglia: ci supportiamo, ci vogliamo bene, sappiamo distribuire in maniera saggia meticolosità e serietà sul lavoro a momenti di leggerezza e ironia. Questo fa sì che da quando ci siamo trovati tanti anni fa, siamo sempre stati felici di tornare a lavorare insieme ogni volta. 

Toni Servillo: La vita ha deciso per noi, che ci facessimo del bene reciproco nel mestiere. Non è facile spiegare a parole, quello che posso dire è che considero un regalo, inaspettato, al settimo film di rilanciare così tanto su un personaggio con questa complessità e prismaticità, una quantità di sensazioni che lo muovono e spero che vengano restituite al pubblico in tutta la loro umana sincerità. Non me lo aspettavo ed è un bellissimo regalo al settimo film insieme. Abbiamo fatto dei personaggi belli per il passato, immaginare che il settimo rilanci sul piano della bellezza rispetto a quelli che lo hanno preceduto fa piacere, significa che non ci si appoggia a quello che si è già fatto. 

D: La scelta del personaggio della direttrice, di cui si sente solamente la voce? 

Sorr: Mi sembra un bel rovesciamento narrativo che un uomo così rigoroso, serio, lontanissimo da qualsiasi forma di mondanità - infatti all’inizio la sola parola Vogue lo fa rabbrividire -, grazie ai cambiamenti che lo attraversano, smonta i suoi pregiudizi e comincia a imparare a conoscere il presente attraverso gli occhi della figlia; quindi nel suo processo di apprendimento del presente c’è anche Vogue ed è per questo che decide poi rovesciando qualsiasi aspettativa (spero) di telefonare alla direttrice di Vogue. 

D: Come ha lavorato sui personaggi? 

Sorr: Raccontare un personaggio con tutte le sue sfaccettature è come un problema di matematica, si parte da alcuni dati iniziali che ci permettono di arrivare alla soluzione, che nel caso del film, però, è molto più imprevedibile. Il film è una esplorazione che ti può portare da una parte o dall’altra, si può sospendere. 

D: Il film è anche un film sul dubbio. Il dubbio viene sempre visto come una debolezza, vorrei sapere la sua opinione in proposito e se si fida di chi ha sempre delle certezze. 

Sorr: Quando si parla di un politico penso che l’esercizio del dubbio sia una delle qualità, ormai poco presenti, che dovrebbe avere. La degenerazione del dubbio era quella che una volta, nella prima repubblica, si chiamava “immobilismo”; il sano esercizio del dubbio su temi morali che comportano concedere una grazia a un omicida, o firmare una legge sull’eutanasia, penso che l’esercizio del dubbio sia una conditio sine qua non: oggi si assiste troppo spesso, purtroppo, a figure di uomini di potere che esercitano certezze, con la differenza che una volta le certezze erano supportate da ideologie, da cose più serie, oggi queste certezze ci appaiono più strampalate, tanto da essere contraddette il giorno dopo. 

Anna Ferzetti: Un bellissimo viaggio fatto assieme. Ho avuto l’onore di interpretare un personaggio ricco, pieno di sfaccettature, cosa che per un attore non accade spesso. È stato come entrare in un’alchimia, io sono arrivata in punta di piedi e sono stata accolta a braccia aperte, il lavoro alla fine parla da sé.

Sorr: Io ho fatto dei provini e in questo film ho cercato delle attrici che avessero delle cose in comune con il personaggio stesso. Molto banalmente, Anna è brava. 

D: Si è ispirato a qualche presidente della repubblica in particolare nel suo tono? 

Serv: No, essendo così chiara l’intenzione di paolo di non far riferimento preciso a nessun determinato presidente della repubblica, allo stesso modo io non ho preso ispirazione da nessuno. Nel passato questo paese ha avuto diversi presidenti della repubblica che erano anche uomini di legge, diversi presidenti vedovi della democrazia cristiana, con una figlia e molti presidenti della repubblica napoletani. 

D: Film anche sull’eutanasia, perché ha sentito l’esigenza di portare anche questo tema nel film? 

Sorr: Perché il viaggio narrativo è il dilemma morale dell’eutanasia, “restituire la grazia” acuisce l’idea del dilemma morale. Anche perché l’eutanasia è uno di quei temi in cui la scelta è particolarmente difficile perché molto sfumata, non è una scelta tra bene e male, molto spesso è tra un male minore e un altro tipo di male, tra un bene e un altro tipo di bene. Io come spettatore detesto i film che vanno giù con l’accento, tentano chiaramente di stabilire dove stia il bene e dove il male, mi è sembrato che il tema dell’eutanasia mi desse la possibilità per sfuggire a questa dicotomia.Il  mio parere personale ce l’ho, e lo comunico all’interno del film, in fin dei conti ad un certo punto il personaggio di Anna pone questa domanda, focale: “Di chi sono i nostri giorni?”, e il personaggio di Tony risponde la cosa più semplice: “I giorni sono nostri”. Tra una domanda così semplice e una risposta così scontata esiste il grande muro della vita che ti impedisce di arrivare in cima a questo dilemma. 

D: Differenze e difficoltà nell’interpretare Andreotti nel Divo e il presidente de la Grazia? 

Serv: Le differenze sono evidenti: di ruolo, di carattere, di storia…due personaggi non facili da interpretare nella loro diversità. Forse per questo personaggio la cosa più difficile, che mi auguro sia stata resa, è sato lo smentire, nonostante fosse cemento armato, la definizione che gli altri davano di lui, nonostante man mano nel film il cemento andasse incrementandosi. 

Q: Ampio spazio all’ironia. Necessaria, per far arrivare tutti questi temi importanti al pubblico? 

Sorr: È qualcosa che io faccio sempre, ma evidentemente alcune volte con maggiore successo. Ho sempre cercato di farlo, memore della grande tradizione della commedia all’italiana che faceva questo meraviglioso uso mescolato di dramma ed ironia, e ho sempre pensato fosse una bella cosa. Gli “alleggerimenti” in film con questi temi pesanti erano necessari, e comunque fanno parte della vita: nessuno è mai veramente solo drammatico o solo ironico, facciamo convivere i due aspetti. Si tratta inoltre della storia di un uomo che, come diceva Tony, ritiene che il suo disorientamento della coscienza legato al momento che sta vivendo abbia bisogno come risposta di una leggerezza. 

D: Il papa nero? Il titolo, la parola Grazia è usata in diverse accezioni, come viene inteso nel titolo? 

Sorr: La grazia nel film è un atteggiamento nei confronti della vita, amoroso, rispettoso, paterno. Una specie di tocco, diciamo. Il papa nero non era pretestuoso. 

D: Scelta delle location, in particolar modo in questo film? 

Sorr: In parte a Torino, in parte a Roma, alla scala di Milano, un piccolo pezzetto in una campagna Modenese. 

D: Scelta di non uscire subito con il film ma posticiparlo al prossimo anno, niente corsa agli Oscar? 

Sorr: Intanto vediamo come va qui al Festival, poi magari ci penseremo per gli Oscar, un problema alla volta. La scelta di inizio anno nuovo è perché col freddo la gente va di più al cinema. 

D: Qualche momento particolare sul set? 

Serv: Uno dei momenti per me più affascinanti, anche nel corso delle riprese, è stata proprio questa decisione irrituale del presidente di andare ad incontrare in carcere uno dei due a cui deve dare la grazia. Il contesto ha permesso di raccontare il personaggio nell’esercizio del suo mestiere principale, quello di essere un magistrato, una bella partita nel cercare di capire se quello di fronte sta mentendo, sta nascondendo qualcosa, Un’occasione bella per raccontare un presidente che esce fuori dal palazzo e va in un carcere, ma anche vedere che ha un’attività da magistrato. L’uscita più irrituale del presidente è quella nel carcere, ma personalmente trovo molto divertente il colloquio con il sindaco. Sembra quasi una canzone di De Andrè, un momento in cui questo capo dello stato non dimentica di essere qualcuno che ha anche una certa dimestichezza nelle indagini. 

Ferzetti: Lei invece esce per cercare di abbandonare un qualcosa, una donna che guarda al futuro e cerca di smuovere quest’uomo immobile, finendo per smuovere anche sé stessa. Due personaggi simili, complessi e compressi allo stesso tempo, due generazioni molto diverse. Quell’uscire per lei vuol dire tanto, vuol dire quasi non tornare più.

 

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