04 Settembre 2024
Il Festival Pucciniano di Torre del Lago è da 70 anni la casa della musica del Maestro. Non solo per la vicinanza fisica del Gran Teatro con la dimora di Giacomo Puccini, oggi museo aperto al pubblico, ma per la lunga tradizione di grandi voci che negli anni hanno calcato le tavole del palcoscenico con vista sul Lago di Massaciuccoli. Nell’anno del Centenario Pucciniano, la rappresentazione di Madama Butterfly è un doppio evento: sono infatti trascorsi 120 anni dalla prima rappresentazione dell’Opera al Teatro alla Scala il 17 Febbraio 1904. A interpretare Cio Cio San, la protagonista, è Marina Medici, soprano al debutto in questo ruolo.
Torre del Lago è una tappa importante per un soprano pucciniano. Da dove è partita?
Il mio viaggio nel Festival Pucciniano è iniziato nel 2021 con l’Accademia di Alto Perfezionamento, dopo la quale sono stata invitata dalla Fondazione in diversi eventi in Italia e nel Mondo. Tra questi ricordo gli ultimi viaggi in Nicaragua, Stati Uniti, Lettonia e numerosissimi concerti dal sud al nord Italia.
Ma il palcoscenico del Gran Teatro è diverso…
A parte il valore storico del Festival, dove hanno cantato i più grandi di sempre, come Pavarotti, Tebaldi, Scotto, Del Monaco, per me è un onore debuttare con uno dei ruoli più complessi tra quelli scritti da Puccini. Si tratta di una vera e propria maratona di resistenza fisica. Poi c’è il lavoro sul personaggio, interessante da risolvere per le tante sfumature del suo carattere. Una sfida, insomma, che ho accettato volentieri.
Cio Cio San: 15 anni e un cuore traboccante d’amore. Troppo?
Il personaggio di Cio Cio San subisce un’evoluzione nel corso dell’opera. Dall’inizio della vicenda al tragico epilogo trascorrono 3 anni. È molto diverso da ciò che accade in Tosca, per esempio, in cui la storia si svolge nell’arco di poche ore. L’amore è una chiave importante per comprendere la protagonista, ma non è la sola. Bisogna guardare più in fondo nel cuore di una ragazza che non avuto un’infanzia, costretta a diventare una geisha per sostenere se stessa e la sua famiglia. Da giovane sognatrice, Butterfly rinnega le sue radici sperando di trovare il vero amore in Pinkerton. Turandot ha detto: “la Speranza che delude sempre”.
Per arrivare al finale tragico, un marchio di fabbrica dell’Opera lirica. Qui però c’è un suicidio rituale, un momento drammaturgicamente complesso. Come l’ha preparato?
È il momento più difficile dell’opera, ma non arriva all’improvviso. Il Jigai, come si chiama in giapponese, è la presa di coscienza finale di una verità che Cio Cio San conosce fin dall’inizio. Pinkerton non è il principe azzurro dei sogni, ma un uomo crudele, un “diavolo” come lo definisce Sharpless, anche se lei cerca in tutti i modi di convincersi che non sia diverso, che possa essere diverso. Butterfly mette fine alla sua vita così come aveva fatto suo padre, per difendere il proprio onore.
Come è stato il lavoro con i suoi colleghi?
Ho trovato una squadra di grandi interpreti che hanno avuto la sensibilità di sostenermi nel mio debutto assoluto sin dal primo giorno delle prove: Vincenzo Costanzo, Sergio Bologna, Anna Maria Chiuri. Questo vale anche per tutti i comprimari, i maestri dell’orchestra, il coro, le maestranze e i collaboratori. Sono molto onorata di cantare in una produzione storica che ha girato il mondo negli ultimi 24 anni con la regia di Vivien Hewitt, le scenografie di Kan Yasuda e i costumi di Regina Schrecker. Un ringraziamento speciale va al Direttore Jacopo Sipari di Pescasseroli per la sua lettura appassionata, così carnale e moderna.
Ricorda il suo primo incontro con la musica di Puccini?
Con Puccini è stato amore a prima vista. Il mio debutto assoluto in Teatro, al Bolshoi di Mosca, è stato a 19 anni nel ruolo di Musetta ne La Boheme. Fu una sostituzione improvvisa, 24 ore prima della recita. Ricordo di aver avuto la febbre da quando l’ho saputo e per i giorni a seguire. Avevo il costume di due taglie più grande.
Si può dire un colpo di fortuna. Ma da sola la fortuna non basta. Qual è, se c’è, secondo lei, la ricetta per riuscire nel suo lavoro?
Assoluta dedizione, vivere come un atleta, stando attenti ad ogni dettaglio, dalla dieta, allo studio, all’ascolto e alla comprensione dell’arte in generale. Non basta solamente cantare una melodia, per essere veramente artisti bisogna vivere da artisti ogni giorno. E poi bisogna avere anche le opportunità e la fiducia delle persone, come è accaduto con il Festival Pucciniano. Chiudere il Centenario, il 7 Settembre, in un’edizione straordinaria è un sogno che si realizza.
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