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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Cultura e politica

Pasolini non era di destra (né di sinistra) - Era anarchico, incompatibile con ogni forma di potere.

L’operazione culturale emersa ad Atreju prova a “liberare” Pasolini dal pantheon progressista. Ma tra critica al consumismo, il rifiuto di ogni potere organizzato e la sua anarchia radicale ed rifiuto di ogni ordine costituito: Stato, borghesia, famiglia, la scuola, la magistratura, la televisione; il poeta resta una figura irriducibile a ogni tentativo di arruolamento.

14 Dicembre 2025

Pasolini non era di destra (né di sinistra)

Pasolini, Atreju e l’equivoco del “conservatore”

Il dibattito acceso sul palco di Atreju attorno a “Pasolini e Mishima: poeti fuori dagli schemi” dice molto meno su Pier Paolo Pasolini di quanto dica sul nostro presente. Ancora una volta, il poeta friulano viene evocato come figura da ricollocare: non più icona della sinistra, ma intellettuale irregolare, “libero”, addirittura, secondo alcuni, conservatore. Un’etichetta suggestiva, ma profondamente fuorviante.

Pasolini non è mai stato un conservatore. Non lo è stato sul piano politico, non lo è stato sul piano culturale, e men che meno su quello esistenziale. La sua opera è attraversata da una critica radicale a ogni forma di potere costituito: lo Stato, la borghesia, la scuola, la magistratura, la televisione come apparato ideologico. Parlare di conservatorismo, in questo contesto, significa forzare categorie che semplicemente non gli appartengono.

La critica al progresso non è nostalgia

Il fraintendimento nasce soprattutto dalla sua durissima critica al progresso e alla modernità. Ma Pasolini non rimpiangeva il passato, né difendeva le tradizioni in quanto tali. Non credeva nell’antico come valore da conservare, bensì cercava ciò che non era ancora stato omologato dal capitalismo dei consumi. Le borgate, il sottoproletariato, il Terzo Mondo non rappresentavano per lui un ritorno indietro, ma la possibilità , forse illusoria, di un futuro diverso.

Anche il verso tanto citato “ama, conserva, prega” de La Nuova Gioventù è stato spesso piegato a letture politiche estranee al suo senso. Quel “conservare” non riguarda tradizioni, identità o valori ereditati, ma la difesa di ciò che è vivo dall’annientamento culturale e antropologico prodotto dalla società dei consumi. Ridurlo a una prefigurazione di svolte politiche istituzionali significa usarlo, non interpretarlo.

L’anarchia pasoliniana

Chi ha conosciuto Pasolini, come Dacia Maraini nell’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa a firma di Simonetta Sciandivasci, lo ha detto con chiarezza: non era né reazionario né conservatore, ma anarchico. Un’anarchia radicale, ostile a ogni concentrazione di potere, a ogni forma di organizzazione che rischiasse di trasformarsi in apparato. Da qui il suo rifiuto dei movimenti strutturati, dal femminismo organizzato fino alla sua celebre polemica con il Sessantotto studentesco.

Anche questa polemica è stata spesso strumentalizzata. Pasolini non difendeva l’ordine contro il caos, ma ragionava in termini di classe: gli studenti erano già parte della futura classe dirigente, i poliziotti provenivano dal sottoproletariato. È una lettura materialista, non conservatrice.

Mishima e Pasolini: una somiglianza solo apparente

Il confronto con Yukio Mishima, proposto ad Atreju, chiarisce ulteriormente l’equivoco. Entrambi percepiscono la modernità come distruzione, ma reagiscono in modo opposto. Mishima risponde sacralizzando l’ordine, la disciplina, la forma, fino all’estetizzazione della morte. Pasolini, al contrario, difende ciò che sfugge a ogni forma e a ogni ordine, denunciando il potere in tutte le sue manifestazioni. Assimilarli politicamente significa appiattire differenze radicali.

Un autore insintetizzabile

L’operazione culturale che tenta di “liberare Pasolini” dal pantheon della sinistra per renderlo patrimonio comune rischia, in realtà, di neutralizzarlo. Pasolini non è un autore conciliabile, né sintetizzabile. È una cattiva coscienza permanente del potere, qualunque volto esso assuma. Più che arruolarlo o liberarlo, bisognerebbe accettare ciò che continua a essere: un intellettuale scomodo, irriducibile, che non offre soluzioni ma pone domande. Ed è proprio per questo che, a distanza di cinquant’anni, continua a far discutere.

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