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Buono pasto nella Pubblica Amministrazione: la Cassazione lo riconosce anche ai turnisti senza orario spezzato

Il buono pasto non è un premio discrezionale né una gentile concessione dell’Amministrazione. È un diritto. Con l’ordinanza n. 25525 del 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione segna una svolta interpretativa destinata ad avere ripercussioni su tutta la Pubblica Amministrazione.

05 Novembre 2025

Buono pasto nella Pubblica Amministrazione: la Cassazione lo riconosce anche ai turnisti senza orario spezzato

Corte di Cassazione (fonte Lapresse)

Il buono pasto non è un premio discrezionale né una gentile concessione dell’Amministrazione. È un diritto. Con l’ordinanza n. 25525 del 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione segna una svolta interpretativa destinata ad avere ripercussioni su tutta la Pubblica Amministrazione. Per i lavoratori turnisti, spesso esclusi da questa forma di agevolazione assistenziale, arriva una pronuncia netta: se l’orario supera le sei ore, il buono pasto spetta, indipendentemente dalla presenza di una pausa "spezzata" tra due fasce orarie. Vediamo nel dettaglio i punti salienti della vicenda e le implicazioni per il futuro.

La vicenda: un ricorso “paradigmatico”

Tutto nasce dal ricorso dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Palermo, che si opponeva al riconoscimento del buono pasto per i propri dipendenti turnisti. L'ente sosteneva che tale beneficio potesse maturare solo in presenza di una pausa tra mattino e pomeriggio (o tra pomeriggio e sera), con un minimo di ore effettivamente lavorate nella seconda parte del turno. Una posizione, questa, ampiamente diffusa nella prassi delle PA, che ha portato – nel tempo – a una disparità di trattamento tra lavoratori con orari “spezzati” e coloro che, pur lavorando oltre sei ore, operano senza interruzione. Ma i giudici di merito hanno dato torto all’ente, riconoscendo ai lavoratori il diritto al buono pasto. Da qui il ricorso in Cassazione, respinto con motivazioni di grande interesse per tutti gli operatori pubblici.

La Cassazione è chiara: conta la durata, non la struttura del turno

Il cuore della decisione della Suprema Corte è una netta riaffermazione del principio di uguaglianza tra lavoratori pubblici. Il buono pasto non è legato alla modalità con cui si articola l’orario, ma alla semplice condizione che il lavoratore svolga più di sei ore consecutive e abbia diritto a una pausa, anche minima. Secondo la Cassazione, infatti, “l’attribuzione del buono pasto […] è diretta a conciliare le esigenze del servizio con quelle quotidiane dei dipendenti, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa”. In questo quadro, non è richiesta una pausa lunga o strutturata, né che essa avvenga necessariamente tra due spezzoni di orario. Il punto è semplice: dopo sei ore di lavoro, una pausa è un diritto, e se non c’è mensa interna, il buono pasto deve essere riconosciuto.

La legge e i contratti collettivi confermano questa lettura

A sostegno della propria decisione, la Cassazione richiama sia il d.lgs. 66/2003, sia le norme contrattuali di comparto. In particolare, l’articolo 8 del decreto legislativo dispone che, oltre le sei ore di lavoro, il dipendente debba usufruire di un intervallo, anche breve (non inferiore a dieci minuti), per il recupero delle energie e per la consumazione del pasto. La Corte evidenzia che questa previsione normativa è generale e vale per tutti i lavoratori, senza distinzione di settore o di modalità organizzativa. Inoltre, anche i contratti collettivi, laddove prevedano il diritto alla mensa o al buono pasto, lo collegano unicamente alla durata del lavoro giornaliero e alla spettanza della pausa, e non alla sua effettiva fruizione in orari predefiniti.

Una vittoria per l’equità e la logica liberale del diritto pubblico

Questa ordinanza rappresenta un principio di equità applicata, coerente con una visione liberale della Pubblica Amministrazione, fondata sulla pari dignità dei lavoratori e sulla tutela uniforme dei diritti soggettivi. È inaccettabile che un infermiere in pronto soccorso o un operatore di centrale operativa sanitaria, per il solo fatto di lavorare senza stacchi, venga penalizzato rispetto al collega d’ufficio che può godere di una pausa pranzo strutturata. Il messaggio della Cassazione è chiaro: l’organizzazione del lavoro non può sacrificare i diritti fondamentali, soprattutto quando si tratta di tutele minime per la salute e il benessere psicofisico.

Meno burocrazia, più giustizia nei contratti pubblici

La pronuncia n. 25525/2025 non è solo una vittoria giudiziaria per i dipendenti siciliani, ma un precedente vincolante per tutta la PA. D’ora in poi, nessuna amministrazione potrà negare il buono pasto ai turnisti solo perché non hanno un orario spezzato. È un invito a superare prassi burocratiche arcaiche e ad adottare una visione più moderna e giusta della gestione del lavoro pubblico. Perché un’Amministrazione veramente efficiente è quella che applica le leggi con razionalità, rispetta i diritti e non complica ciò che è già chiaro. Una lezione che dovrebbe far riflettere anche i dirigenti pubblici: la corretta applicazione dei contratti collettivi è un dovere giuridico, non una facoltà discrezionale. Il futuro della PA passa anche da qui: dal rispetto dei diritti minimi, a partire da quello – semplice ma essenziale – di potersi sedere a mangiare dopo ore di lavoro.

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