03 Ottobre 2025
Maurizio Landini, fonte: imagoeconomica
Ha perso i referendum sul lavoro per non aver raggiunto il quorum e quello sulla riduzione dei tempi per avere la cittadinanza italiana ha visto pure elettori di centrosinistra respingere la proposta al mittente. Così come sulle piazze ProPal è arrivato secondo dopo il successo di quelle che aveva organizzato USB, cioé i sindacati di base.
Eppure Maurizio Landini tira dritto, quasi imperturbabile per assenza di rivali interni alla Cgil in grado di fargli il controcanto. Landini per la Cgil è un po’ come la Schlein per il Pd e Conte per il Movimento Cinquestelle: la miglior carta perdente. Ha detto che tirerà dritto e che non avrà paura di quel “Blocchiamo tutto” su cui il Viminale ha acceso ogni tipo di attenzione.
Nella grammatica della lotta sindacale di questi scioperi non si capisce il senso. Vedere le piazze piene non significa affatto avere un peso sindacale, anzi qui siamo al disallineamento totale: in Italia esiste un problema di salari e di condizioni di disparità; esiste una grande questione legata al potere di acquisto; esiste una grande condizioni di debolezza del fronte lavorativo (e ci metto anche i piccoli imprenditori e le partite Iva) rispetto allo strapotere negoziale delle banche e di chi fornisce prestiti tossici; esiste un crescente problema di povertà. Insomma di sono battaglie combattute da persone che restano invisibili al sindacato ma anche al governo. Questi invisibili sono schiacciati tra un inutile Landini e una ministra del lavoro sconosciuta, che se accoppiata a Urso - quello che sta al ministero dell’Economia - facciamo il mix perfetto del disastro.
Ma di tutto questo non c’è traccia. La premier ha scelto di proiettarsi nella dimensione internazionale quasi come a voler esorcizzare la debolezze di alcuni suoi asset. E il sindacato, come dimostrano i suoi fallimenti, non c’è più sui “suoi” temi. E così sonda il terreno politico ed esonda. Sono tristi questi scioperi perché strumentalizzano una tragedia. Esattamente come nel caso della Flotilla.
La tragedia che sta vivendo il popolo palestinese è troppo grande per stare dentro le “miserie” e i “tatticismi” del sindacato italiano e della “sua” sinistra. In fondo è questo il triste ma sincero messaggio mandato dal patriarca di Gerusalemme dei latini, il cardinale Pizzaballa rispetto (anche) alla missione della Flotilla. “Ho l'impressione – dichiarava il cardinale - che il dramma di Gaza abbia tirato fuori una coscienza di dignità che giaceva inespressa nella coscienza comune. Adesso è venuta fuori, ha risvegliato qualcosa, anche indignazione. Vedo tanta partecipazione e questo è un aspetto positivo”. Ma “le immagini che arrivano fanno solo parzialmente giustizia della situazione che si sta vivendo. La distruzione immane, oltre l'80% delle infrastrutture sono distrutte. Ci sono centinaia di migliaia di persone che hanno dovuto spostarsi e sfollare anche sette volte in questi due anni con tutta la famiglia”. E poi la fame, “una fame reale. Mancano frutta, verdura, carne, che significa mancanza di vitamine e proteine. Insomma, è un disastro totale e i confini sono chiusi ermeticamente”.
Allora è lecito domandare se questo anteporre le proprie tattiche alla tragedia abbia un senso: la Flotilla ha solo coperto la tragedia, portando su di sé le attenzioni; così come gli scioperi e le piazze, che paiono l’esaltazione di se stessi. Del resto cosa è cambiato dopo quella missione e altre che ne verranno per effetto di una simulazione degna dei format e delle serie televisive? E cosa cambia a Gaza dopo queste piazze, questi scioperi? Lì, nulla.
E nemmeno ha senso affermare che serve per sensibilizzare l’opinione pubblica verso quella tragedia o verso le gravissime responsabilità di Netanyahu: la maggioranza degli italiani sta con quei palestinesi, è sensibile al male che il premier israeliano (il leader più inviso in un sondaggio pubblicato recentemente; peggio persino di Putin) sta facendo loro. Quindi a che serve?
Serve per scopi interni, per misurare i rapporti di forza. E poi con quelli convertire la piazza contro il governo. Non c’è altra spiegazione. Però il calcolo non reggerà: chi solidarizza con Gaza ha superato l’appartenenza elettorale, è andato oltre per sincerità emozionale, per solidarietà cristiana. Le piazze sono animate da emozioni diverse per quanto lo sguardo sia rivolto alle vittime di cui parlava il cardinale Pizzaballa, alle loro sofferenze. Ai lati di quella piazza c’è poi un certo fanatismo, quello di chi si arroga il diritto di rappresentarlo in via esclusiva ed esaustiva.
Gli scioperi e la manifestazione rischiano di tracimare in altro ed è - o sarebbe - compito di chi organizza preoccuparsi affinché un servizio d’ordine tenga e non si dilegui in una specie di “tana liberi tutti”.
di Gianluigi Paragone
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