25 Agosto 2025
Orazio Schillaci, il “medico grigio”, il burocrate, il travet assurto al soglio ministeriale, a dimettersi non ci pensa o non ce la fa, è ostaggio, dicono le malelingue, di Mattarella. Comunque resta e la faccenda si conferma sempre meno sanitaria e sempre più politica: a difenderlo si ostina Forza Italia con accanimento superiore allo stesso PD e con ottime ragioni: che Schillaci avesse architettato una simile, diabolica macchinazione è difficile da credere, lui resta un grigio, un esecutore, ottimo nel creare problemi al governo, nell'indebolire Meloni che lo presiede: se fa in modo di cacciarlo, rischia l'insurrezione di Tajani, la crisi, il governo congelato da Mattarella nella riedizione di quelli pandemici, l'alleanza PD Forza Italia che ormai è nei fatti, nelle cose. Allora lei lascia tutto come sta, fa finta di niente e se la fila a un vertice. Ma un capo del governo non può sempre defilarsi, prima o poi il toro per le corna lo deve afferrare se no gli sfascia la stalla. Meloni ha deciso di durare, camminando sulle uova, per ogni cosa, ma la faccenda di un ministro che fa e disfa, per conto terzi, senza informarla, senza armonizzarsi con il suo premier è grave e finisce per condizionarlo: comunque la metta, Meloni ne esce più debole e sono debolezze che a lungo andare si pagano, lei è convinta di bastare a se stessa, di arrivare fra due anni al 51%, ma in Italia nessuno può arrivare alla maggioranza assoluta, non ce la fece neppure la Balena Bianca, l'eterna democrazia cristiana nei suoi decenni di regime assoluto.
Oggi è tutto diverso, più aleatorio, più fragile e la storia del Nitag ricorda molto quella dello ius scholae, provocazioni, pretesti per cementare la nuova alleanza col PD egemone e quel che resta del partito del Cavaliere in posizione subalterna. Coi figli che regolano le briglie al segretario. In Italia comandano le donne: due in particolare, una in ruolo nominale, istituzionale, la Giorgia, l'altra in posizione più defilata ma decisiva, la Marina Berlusconi. Giorgia non ne esce. Fossi io premier, andrei al “muoia Sansone”: lascerei filtrare, a mezzo veline dei Servizi, le liste, che ci sono, dei corrotti, dei pagati dalle case farmaceutiche, tutti: virologi, giornalisti, influencer, parassiti, politici. Certo, si spalanca una crisi al buio, ma certi alleati infidi vengono spazzati via; e poi si può davvero ricominciare da zero. Ma io per fortuna mia e del Paese non faccio il politico, anzi è l'ambiente da cui sono sempre stato lontano temendone le ambiguità, non mi piace ciò che non posso controllare, prevedere e il politico, se non è ladro dentro, non è. Però una cosa è certa: gli agguati, le provocazioni non finiranno qui, non finiranno mai e camminare sulle uova, esagerare nel trasformismo, perdere tempo per prendere tempo non servirà: ci rimette il Paese, ci rimettono i cittadini cui vanno date risposte, specie se minati da un regime infame. Perché la questione è molto semplice, ammalarsi ci può stare, un cancro o un infarto fanno parte della crudeltà del fato, ma morire o non vivere per Mattarella, Speranza, Conte, Draghi e la signorina Ronzulli no, non si può accettare. Qui non è questione di disquisizioni, di appelli, di lettere, che comunque non andrebbero rivolte ai burocrati grigi ma a chi può silurarli, la situazione va colta, va letta per quella che è: una situazione politica, di rappresaglia politica con tutte le manovre e le miserie del caso. Va anche preso atto, i volonterosi meloniani dovrebbero prendere atto, che la maggioranza non esiste, è solo formale, è ipocrita e che, più in generale, nella politica dell'irresponsabilità generale per cui si può dire, fare l'esatto contrario di quanto garantito, sostenuto, secondo la filosofia “era un altro momento”, per dire noi abbiamo tutti i poteri, tu plebe hai solo doveri, non esiste più la dialettica democratica maggioranza/opposizione, soppiantata da una concezione della politica come clan o cosca di eletti: chi è dentro è dentro, poi le distinzioni sono di puro marketing, puntano a diversi segmenti del mercato elettorale.
Ma ogni istanza moralistica, ogni insistenza di valore è cancellata, neppure più vissuta in modo patetico: tra una Salis e un Tajani ci sono più complicità che diffidenze, più punti di contatto che distanze, più sensibilità comuni che incompatibilità nella percezione comune del privilegio, dell'appartenenza alla èlite. Solo così trova un senso la vicenda, all'apparenza allucinante, di un ministro di centrodestra esaltato dalla sinistra radicale e difeso dalla destra a parole moderata in totale consonanza con la sinistra immigrazionista nel segno della costrizione violenta ad assumere vaccini che “salvano l'umanità” anche se nessuno più ci crede, se l'umanità intera ha capito, ha sperimentato, da cavia globale, quanto questi vaccini siano pericolosi, siano micidiali, letali. Una delle tante bugie dell'informazione a tariffa, ma la capa piddina dice: Schillaci si è ravveduto, lo candideremo noi, ma per il momento non si muova, sta bene dove sta. Lo dice da capo dell'opposizione e il capo del governo non fiata, va per vertici. Intanto escono i video del ministro Speranza che impone Astrazeneca mentre Camilla Canepa sta morendo di Astrazeneca e sono video truci, lugubri, sembrano sequenze di Luchino Visconti, di decadentismo malato, decomposto: un ministro tetro, un generale, altre facce patibolari, tutte dietro le mascherine. Per queste facce qui si deve morire a 18 anni?
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