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La zona grigia tra giurisdizione e militanza, la credibilità della magistratura passa anche dalla immagine che restituisce

La toga dovrebbe rappresentare l’equità, l’imparzialità, la forza silenziosa dello Stato di diritto. Eppure, in alcuni casi il confine tra giurisdizione e attivismo politico appare sempre più labile e incerto

17 Agosto 2025

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Una parte della magistratura da tempo si trova sotto i riflettori. Non per la sua funzione in sé - che resta essenziale e tutelata dalla Costituzione - ma per il modo in cui viene esercitata e, soprattutto, percepita. È proprio su questa linea di confine, tra autonomia e responsabilità, che si gioca una partita fondamentale per la tenuta del nostro Stato di diritto.

La toga dovrebbe rappresentare l’equità, l’imparzialità, la forza silenziosa dello Stato di diritto. Eppure, in alcuni casi il confine tra giurisdizione e attivismo politico appare sempre più labile e incerto. Non si tratta di attaccare la magistratura, che resta pur sempre un pilastro incrollabile della nostra democrazia, ma della necessità di interrogarsi su alcune derive che emergono nel dibattito pubblico e nella opinione comune.

Quando la giustizia sembra orientarsi

Taluni casi, diffusamente commentati anche dai media, hanno alimentato il sospetto che alcune iniziative giudiziarie possano essere percepite come non del tutto neutrali. Non parliamo di illegalità, né di violazioni del diritto, ma di una “zona grigia” dove scelte di tempi, priorità, esposizione mediatica e linguaggio utilizzato rischiano di sovrapporsi al terreno del confronto politico. È legittimo chiedersi fino a che punto una funzione imparziale può convivere con dinamiche che generano effetti politici diretti.

Ciò che preoccupa non è solo quanto accade nelle aule di giustizia, ma l’immagine che ne deriva. Quando ampi settori dell’opinione pubblica iniziano a percepire un trattamento differenziato in base all’orientamento culturale o ideologico delle persone coinvolte, la fiducia nello Stato di diritto inevitabilmente si incrina. Non serve un verdetto per danneggiare una reputazione. A volte è sufficiente l’apertura di una inchiesta, una fuga di notizie o una tempistica sospetta. In una epoca in cui la comunicazione pesa quanto - o più - dei processi, il rischio è che la giustizia venga utilizzata, anche involontariamente, come strumento di pressione politica.

Neutralità come presidio democratico

Il problema non è l’esistenza di opinioni personali tra i magistrati - inevitabili in ogni essere umano - ma la loro eventuale incidenza nella azione giudiziaria. Il giudice è e deve restare al di sopra delle parti, non perché privo di idee, ma perché in grado di metterle da parte nel momento decisivo. L’indipendenza della magistratura non può e non deve tradursi in autoreferenzialità. Una democrazia sana richiede che ogni potere, anche quello giudiziario, sia oggetto di confronto, verifica e - se necessario - critica, purché rispettosa e fondata.

Criticare le storture di un sistema giurisdizionale non significa delegittimarlo. Al contrario, significa riconoscerne il valore e volerlo migliorare. La giustizia è troppo importante per essere lasciata prigioniera di dinamiche che rischiano di farla apparire - anche solo in parte - orientata. La toga è simbolo di imparzialità. Difendere questo simbolo significa vigilare affinché nessuna forma di militanza - politica, culturale o mediatica - ne intacchi la credibilità.

Solo riportando la giustizia nel suo ruolo di arbitro silente e imparziale, lontano dai riflettori della arena politica, sarà possibile recuperare pienamente la fiducia dei cittadini. Una toga autorevole non ha bisogno di parlare troppo, basta che agisca con coerenza, sobrietà e misura. Il còmpito di una democrazia matura non è solo difendere l’indipendenza della magistratura, ma anche garantirne la responsabilità pubblica affinché il diritto non venga percepito - né utilizzato - come uno strumento di parte. Solo così il confine sottile tra giustizia e politica potrà tornare ad essere nitido. E invalicabile.

di Fulvio Pironti

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