28 Giugno 2025
La faccia tosta dei politici è impagabile e quella di Giuseppe Conte è leggendaria: si presenta dal direttore della Verità Belpietro e dopo 5 anni dice che lui il lockdown non lo voleva fare, ci è stato costretto. Non era lui il capo del governo? Sì ma doveva riferire a Draghi, cioè a quei poteri forti che i grillini volevano smantellare: “li apriremo come scatolette di tonno”. Altri del suo partito lo hanno sbugiardato, era in competizione col PD, altro potere forte di cui pativa l'autorità e qui si ha la conferma di un non detto vergognoso: le restrizioni autoritarie imposte sotto pandemia non servivano e lo sapeva Conte e lo sapevano tutti i mammasantissima al governo, erano funzionali ai giochi di potere fra rincorse e alleanze. Quindi per una sporca faccenda di potere Conte ha tenuto chiusi in 60 milioni, extracomunitari e maranza esclusi, inducendoli ad ammalarsi. Dietro aveva il potere più forte di tutti, il Mattarella del “non si invochi la libertà”, frase incredibile che perfino in un regime africano avrebbe provocato un impeachment. Ma erano, come restano, tutti d'accordo e c'è un libro, ormai rimosso dalla memoria collettiva, una sorta di diario della pandemia, messo insieme da una autrice di Wuhan che si fa chiamare Fang Fang: non un granché, giusto l'autocelebrazione di una influencer cinese preoccupata vendersi come scrittrice in una sequenza di banalità propagandistiche di regime. Ma qualcosa di notevole in quel diarietto elementare si trova: sta nella sgangherata gestione dell'emergenza da parte del regime, che fino a quando può nega, soffoca, poi chiude tutto, blocca tutto, ovviamente senza allentare la morsa censoria, infine consente una sorta di ritorno ad una normalità che normale non può essere. Non più. Dalle cronachette di Fang Fang si capisce come il governo italiano altro non faccia che seguire in modo pedissequo, se non pedestre, la linea di azione cinese – il che non può essere un caso.
Stesse incertezze prima, stesse durezze poi, nell'acquiescienza di un capo dello Stato che si guarda bene dal rintuzzare le tentazioni autoritarie. Mesi di tempo perso per amor di propaganda, di una ideologia sciocca e patetica, mesi che potrebbero sbarrare la strada all'epidemia e invece gliela spalancano, agevolati dal balletto dei virologi o presunti tali (molti in realtà vantano specializzazioni diverse, ma si lasciano identificare come espertissimi di virologia) i quali, fiutato il treno della notorietà, non esitano a cavalcarlo. All'inizio è gara a chi minimizza di più, poi diventa psicosi e qui l'autocrate di laboratorio Conte ha buon gioco nell'imporre misure sempre più fasciste e sempre più sconsiderate. “Ho agito secondo scienza e coscienza”, con le formule classiche dei demagoghi. Siamo già alla mutazione antropologica, alla “quarantena della democrazia” di cui parla il professor Paolo Becchi, alla involuzione di stampo orientale, e da lì non si torna più indietro. A Milano lo spettacolo è allucinante, in pochi minuti la città si svuota, diventa metropoli spettrale: mai successo, neppure nei periodi delle escandescenze stragistiche, terroristiche. Il governo cerca di riguadagnare in modo convulso il tempo criminalmente sprecato: è, come scrive Maria Giovanna Maglie, l'inseguimento dell'emergenza anziché la sua gestione.
In questa fase Conte è ancora esitante, le implicazioni di una ulteriore flessione dei consumi, della produzione, dei commerci non gli sfuggono. Ma l'epidemia avanza inesorabile, il computo dei contagiati e dei morti sale di ora in ora, enfatizzato dai media. È tempo di panico, “la frenesia s'era propagata come il contagio” per dirla col Manzoni dei Promessi Sposi. Ma Giuseppi vuole l'ultima parola e anche tutte le altre: non accetta intromissioni, decisioni divaganti, iniziative personali dei governatori, tutto deve passare al vaglio di palazzo Chigi, tutto deve avvenire in perfetta concordanza con le decisioni sue e di Casalino, l'addetto allo spettacolo, insieme ai vaticini dei virologi, moderni oracoli che, fiutato il vento, stanno già passando da pompieri a Cassandre. A suon di cazzate, spesso e sempre più volentieri. D'altra parte, Conte capisce una cosa fondamentale: che l'emergenza può diventare per lui una comfort zone, fa comodo al suo governo, debole, irresoluto, minato da faide incrociate e interne. Più i cittadini si sentono fragili più il governo si rafforza, più tempo si perde e più se ne guadagna. Più non si decide e più le decisioni potranno aspettare, anche quelle cruciali. Più l'emergenza si conclama e più gli italiani, smarriti, atterriti, apprezzeranno il ruolo di un uomo forte ma rassicurante, responsabile, enfatico ed empatico al limite del paternalismo. A questo punto dovrà entrare in gioco Casalino con le sue alchimie spettacolari, le sue trovate mediatiche e il modo per durare, senza scadenza, è escogitato. Già il governo aveva autorizzato a fine gennaio, vale a dire nei primordi della pandemia salita dalla Cina, uno stato di emergenza che non si risolverà, formalmente, prima di sei mesi, vale a dire al 31 luglio prossimo. Si tratta di gestire il pericolo, se necessario con una sagace strategia della tensione. Dall'inizio di marzo palazzo Chigi comincia ad emanare decreti del presidente del Consiglio dei ministri e l'acronimo DPCM diventa famigerato e ansiogeno; pannicelli caldi, all'inizio: annunci di esigui sgravi fiscali, di sostegni economici irrisori (3,6 miliardi, poi portati a 7, a fronte di necessità immani): ma si tratta di semplici annunci, di intenzioni. Propaganda, in definitiva e con la propaganda si può dire tutto, anche parlare di una “potenza di fuoco” di 400 miliardi, di 700 miliardi che nessuno vedrà mai. Viceversa le misure restrittive, le ganasce del contenimento sociale diventano immediatamente operative sconcertando un paese che, pur nella consapevolezza di un pericolo diffuso e incombente, non è pronto a sentirsi scaraventare in un oblio dei diritti fondamentali. Il 12 marzo praticamente tutte le attività commerciali vengono bloccate; così anche la gran parte di quelle produttive, mentre si introduce una strampalata autocertificazione per poter uscire di casa, ma solo per specifici, tassativi motivi. Gli italiani, sempre più sconvolti, sembrano stringersi attorno al loro premier, che, nei sondaggi, schizza a livelli di fiducia inusitati. L'Esperimento è ufficialmente lanciato.
La propaganda del governo italiano ispirato da quello cinese si mette in moto, decanta le magnifiche virtù di una dimensione sconosciuta, allucinante, fa in modo da sorvolare o addolcire la pillola dell'impossibile vivere; si cantano le meraviglie del “ritorno a una dimensione primordiale”, come fosse chissà quale conquista anziché una drammatica retrocessione sociale, comunitaria. Ed è notevole che a deliziarsi di una simile condizione, per la quale subito viene escogitata una formula odiosa, “distanziamento sociale”, sia la sinistra dell'enfasi popolare, del contatto orizzontale, della condivisione spirituale, dell'antirazzismo che unirebbe tutti con lo stesso sudore. Una evitabile figura in fama di intellettuale, tale Michela Murgia, va in televisione a rallegrarsi in modo tronfio del coronavirus che ha ripulito le strade e le consente superbi viaggi in aerei deserti. Un professore di liceo che pratica la politica municipale, Christian Raimo, si duole perché “In questi giorni non si trova roba. Gli spacciatori sono chiaramente scomparsi. I rifornimenti sono chiaramente bloccati. Zero fumo, erba, coca, eroina. I tossicodipendenti ma anche chi ne fa un uso abituale, anche solo ludico, stanno subendo contraccolpi fisici e psichici notevoli. I medici sono surclassati da richieste di aiuto. Tra le tante cose che questa pandemia ci fa capire è il valore dell’antiproibizionismo, e che il proibizionismo ha anche degli effetti sociali devastanti”. Non è il solo a delirare, una intera generazione di vippetti allergici alla fatica, di cacciatori di dote, di figli di cognome, di eredi del talento senza talento fanno a gara nel raffigurarsi sui social “rinchiusi” nelle loro magioni di città o anche nelle seconde case di villeggiatura – e non ci capisce come abbiano potuto raggiungerle, stante il divieto ferreo di intraprendere viaggi, di avventurarsi sui mezzi di trasporto. È l'ennesima occasione per palesarsi come i migliori, i più saggi, coscienziosi, prudenti ma facoltosi, gente che ha saputo guadagnarsi la vita e può sopportare con l'agio delle classi superiori questo improvviso arresto della normalità.
In effetti, la sinistra che pensa, ma pensa male e parla peggio, tradisce la solita propensione all'isolamento, al disprezzo verso “quelli che sudano”, come li definisce un ex magistrato passato nelle fila del progressismo salottiero e romanziero. Tutti gli altri, quelli dall'impossibile vivere, dei cinquanta metri quadri di abitazione (“non sono case, andrebbero abbattute”, si schifa l'architetto piddino Fuksas), sono disorientati, preoccupati: non si ha memoria di una simile privazione dei diritti fondamentali di movimento, di libertà spaziale, fisica: i tempi della guerra sono troppo lontani, solo qualche vecchio li rievoca a stento. Ma così è peggio, sotto la guerra c'era il coprifuoco, c'erano le sirene che annunciavano gli stormi ma poi si poteva uscire, tornare. Adesso no, adesso la prigionia è infinita, assoluta e il governo ci mette del suo per aumentare sconcerto e angoscia: ogni giorno conferenze stampa inutili e mefitiche, col bollettino dei decessi, dei contagi, da parte della Protezione Civile i cui papaveri sembrano preoccupati solo di mettersi in mostra; non si dica poi del capo del Governo, che intensifica la compulsione vanitosa e si presenta quasi ogni sera con una conferenza stampa in cui, di regola, annuncia molto, promette ancor di più, e, soprattutto, si prodiga in raccomandazioni, avvertimenti, minacce, esortazioni. Il paternalismo dei regimi dittatoriali, o, come ammetterà un ministro, “la regola del bastone e la carota per la popolazione”.
Conte s'avvita in spirali di previsioni, di vaticini, di annunci di interventi, non c'è limite all'ipotesi: settecento, mille, centomila, infiniti miliardi. Alla resa dei conti si vedrà l'esatto contrario, una latitanza sconcertante, desolante: a moltiplicarsi sono i debiti, 200 miliardi a forza di strampalati superbonus a perdita secca, tranne che per le mafie, 250 milioni di banchi a rotelle grillini, infantili e inutilizzabili, sprechi e ruberie su mascherine, tamponi, respiratori, su tutto, a crescere è solo la burocrazia che in questo tempo di paralisi generale diventa letteralmente improponibile, finendo per complicare, per paralizzare tutto; si assiste a un vergognoso palleggio di responsabilità dal governo agli enti previdenziali (il capo dell'Inps, il grillino Tridico, incolperà dei disservizi fantomatici hacker, ma tutti capiscono che è una menzogna indecente), alle casse private dei rispettivi ordini professionali, fino alle banche che dovrebbero, in questa prima fase, tamponare i fabbisogni delle aziende, almeno quelli essenziali. In realtà nessuno o quasi vede niente: il sussidio di 600 euro annunciato da palazzo Chigi si trasforma in una riffa informatica, li arraffano solo i primi che riescono a penetrare nei meandri del portale della Previdenza Sociale, dopodiché i soldi spariscono. Si aspetta, come sempre, l'Unione Europea che invece traccheggia: capisce che la difficoltà italiana, tra contagi, cadaveri ed emergenza economica, è l'occasione buona per mettere il paese definitivamente sotto il suo tallone.
Il potere lo sa e figurarsi se non ne approfitta. Conte è sempre più padre della patria, piccolo padre partecipe ma intransigente: maschera la sua propria incertezza, la disperde in rivoli di raccomandazioni e prescrizioni. I virologi sono sempre più fallaci ma tracotanti. Le task force si moltiplicano, segno della totale incertezza governativa: se ne conteranno quindici, a un certo punto, per oltre 400 componenti sparsi, il che suggerisce a qualcuno la tragicomica necessità di una task force per la gestione delle task force. Si distingue quella del supermanager Vittorio Colao, in fama di genio, stratega della telefonia: al dunque, la sua armata di esperti, tra i quali nessun imprenditore, nessun esponente delle professioni, spremerà uno studio striminzito che è un giardino di banalità infarcite di termini alla moda quali “resilienza”, “sostenibilità”, “solidarietà”, senza soluzioni praticabili nello specifico ma delle ambizioni demoniache di disegnare la società che verrà. In una parola, cambiare gli umani.
Cosa che, peraltro, sta già avvenendo con la ricetta, in fondo semplice, della paura: gli italiani anarcoidi si riscoprono gente facile da atterrire: esitanti, obbedienti al limite dello zelo. Tutto quello che il governo comanda, loro lo fanno senza discutere: c'è da interpretare autocertificazioni enigmatiche come la Stele di Rosetta? Loro interpretano. C'è da cambiare tipo di mascherina ogni settimana? Loro cambiano. Bisogna portarla anche a letto? La portano. I virologi che ieri irridevano il virus oggi disegnano scenari apocalittici? Gli italiani tremano tutti insieme come foglie sotto la tormenta. Nessuno dubita, nessuno eccepisce, se qualcuno si azzarda, provvede la propaganda di regime a reti e testate unificate. Provvede il Giornale Unico del Virus. La UE detta i suoi diktat per voce della cancelliera Merkel, si vendono porti ai cinesi, lo statista foggiano ha consegnato il Paese a quei poteri forti che doveva combattere in una spirale autodistruttiva e a questo punto la scelta non si pone, è obbligata, più le cose precipitano più occorre bloccare, chiudere, imprigionare in un perenne, esorcistico, disperato rinvio dei conti da pagare. Ci sono tanti modi di distruggere un Paese, se capita una pandemia coltivata in un laboratorio cinese gestito da uno stranamore americano con la complicità dei francesi, tutto diventa facilissimo, quasi automatico. Poi, dopo 5 anni, “io non volevo chiudere, ma chi ero io? Solo il presidente del Consiglio”. Per conto di chi?
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