08 Giugno 2025
Fonte: LaPresse
Questo referendum è lo specchio dei fallimenti della sinistra. Non raggiungerà il quorum e non servirà nemmeno a far chiarezza nel centrosinistra o nel Pd perché un disco che si balla per una stagione (cioè la Schlein) non è di per sé un successo o un capolavoro.
Dicono che Elli porta il Pd nella sua casa madre, cioè la sinistra ma il genoma di questo partito non è solo “la sinistra”, nel senso che avrebbe dovuto amalgamare ben altro. Pertanto se oggi al Nazareno pensano di tornare al tempo di Botteghe Oscure potrebbe non essere la mossa vincente. A dirla tutta è l’incubo che ritorna: urne vuote e piazze piene. Perché accade?
Perché - e lo dimostreranno questi referendum- la sinistra che tradisce il suo popolo di riferimento non è sinistra. Ci arriveremo. Prima però “sminiamo” il terreno dall’alibi: non hanno voluto parlare del referendum, il governo ha boicottato il dibattito. In un’epoca di iper-comunicazione e dove le notizie si infilano ovunque anche vestite da intrattenimento, post, video e quant’altro attraverso i social, questa cosa del silenzio di tv e giornali è una evidente baggianata.
<La gente non sa che si votano i referendum sul lavoro>, sento dire. Certo, è assai probabile ma non perché non partano le informazioni; la gente non sa perché non ne vuole sapere di essere informata nel senso che ha scelto di chiudersi per non sapere. In poche parole, è una questione che non attecchisce, che non interessa. Fate la prova al bar o in un luogo frequentato (io la faccio ripetutamente) e provate a buttare lì il discorso dei referendum: la gente sa genericamente che c’è un referendum ma non ne mette a fuoco la data, i quesiti, il tema. Sapendo che esiste un appuntamento elettorale (o perché ne ha sentito parlare in tv, nei tg, o sui social) il grosso delle persone sceglie di non approfondire nemmeno con un clic.
Semplicemente passa oltre. Perché accade? Perché sono disinteressati al tema del lavoro? Assolutamente no! Anzi, scandagliando nel target di chi non prende nemmeno in considerazione l’idea di recarsi alle urne, è alta la componente di coloro che hanno problemi di lavoro o sul lavoro; c’è chi si lamenta per la retribuzione troppo bassa, c’è chi teme di perdere il posto per colpa della crisi, c’è chi non si sente protetto e tutelato. Guarda caso è la stessa platea che progressivamente è uscita dal bacino elettorale della sinistra o del centrosinistra per affidarsi o al centrodestra o al non voto. Ed è la stessa platea che afferma di non fidarsi dei sindacati.
Siamo pertanto al vero punto politico della questione, sfuggito a coloro che preferiscono fare polemica sulla strategia del non voto. Quando la Meloni e il centrodestra non danno una indicazione di voto ai quesiti referendari hanno scelto l’altra opzione che la Costituzione mette nero su bianco, cioé la validità del referendum solo quando la metà più uno degli elettori va al voto e sceglie di abrogare la legge o l’articolo.
Pertanto non c’è alcuna quaestio politica. Che invece c’è e riguarda appunto il passaggio del voto degli operai dalla sinistra alla destra; così come è un tema politico il disincanto dei lavoratori rispetto alle lotte del sindacato, a cui ci si rivolge per una serie di servizi. In poche parole il sindacato non convince più come “garante” nelle lotte per i diritti, ma viene scelto per la piattaforma di servizi offerti facendo la tessera.
La Schlein sta chiedendo il voto agli italiani contro una legge approvata dal suo stesso partito; è un regolamento di conti contro quel pezzo di partito che ancora oggi non vuole uno scivolamento a sinistra. Landini invece fa di più, cerca di coprire il suo fallimento in questi anni di segreteria generale e proporsi come politico più che come sindacalista.
Il fallimento di Landini è un fallimento di atteggiamento assai difficile da nascondere. Quando era a capo della Fiom Landini si scagliava apertamente contro la rivoluzione di Marchionne e contro il management della Fiat, e lo faceva anche giocando di sponda con la Repubblica. Anche oggi Landini gioca la sua partita politica e sindacale in tandem sempre con la Repubblica, tuttavia il giornale fondato da Scalfari non è più di De Benedetti - come negli anni della Fiom - ma è del gruppo Gedi, cioé della famiglia Agnelli/Elkann, quindi della Fiat, la quale progressivamente ha smontato le fabbriche e le linee produttive per andarsene dove il lavoro si paga di meno. Come per esempio in Serbia, dove si produce la Grande Panda che farà da sponsor alla festa patronale di San Giovanni a Torino, città il cui sindaco è del Pd e voterà sì ai referendum. Morale: la Fiat ha tradito gli operai e la città ma paga concerto e fuochi d’artificio per fare bello il sindaco di sinistra. E poi vi domandate perché i lavoratori non si fidano della sinistra e dei sindacati?
di Gianluigi Paragone
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