17 Settembre 2023
Due leghe sembrano rincorrersi in queste ore sul palco di Pontida 2023. Alla kermesse che dal 1990 è il simbolo della radicalizzazione del carroccio sul territorio, valore da sempre citato a motivo di vanto dal partito che fu di Umberto Bossi (assente a questa edizione), anime diverse e costrette e convivere prendono la parola, suscitando applausi, dettando le linee. Entrambi i volti di questo soggetto promettono di definire l'identità della propria natura, ma uno dei due, volontariamente o per necessità, cerca di farlo in maniera più "defilata", lasciando al secondo il compito di usare il tono più tagliente. E, quindi, più veritiero.
C'è la Lega di Governo, incarnata dal Segretario Salvini, che presenta con orgoglio l'alleata europea Marine Le Pen, sottolineando (a favore degli alleati "romani") come l'esclusione della francese da qualsiasi piano di alleanza in sede bruxellese sia un errore, ma sottolineando a voce altrettanto squillante, con una precisazione intendibile tanto come scusa quanto come paracadute contro possibili futuri battibecchi con Palazzo Chigi, quanto la questione delle europee non andrà ad incidere sui rapporti di governo in Italia.
C'è poi l'altra Lega, quella propriamente dei territori, più vicina all'originale degli anni '90, la Lega dei governatori del nord che se, è vero, Roma non la chiamano più "ladrona", ciò potrebbe forse essere motivato maggiormente da una questione dialettica, più che programmatica. I cori di alcuni giovani leghisti, "Seccessione! Seccessione!", ieri avevano mostrato come in seno al carroccio la nostalgia di ciò che fu non sia ancora completamente estinta. Anzi.
Se è vero che Pontida è il luogo in cui la Lega si mostra nella propria immagine, appare chiaro a molti osservatori che l'edizione 2023 sembrerebbe essere la più nordista da diversi anni a questa parte. Il tema a riscuotere maggiori successi, non a caso, è quello dell'autonomia, un boccone troppo ghiotto per lasciarselo scivolare dalle mani, pardon, dal microfono. Quasi tutti gli oratori vi hanno fatto cenno, e gli applausi non hanno scemato nonostante le ripetizioni.
Molto ascoltate a tal proposito, le parole del Ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli, l'alfiere della riforma in sede esecutiva. A suo dire "il 2024 sarà l'anno dell'autonomia", frase che gli da il là per bacchettare gli alleati di governo e rivendicare la responsabilità, o il merito, leghista attorno al progetto: "Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata. Sono soddisfatto di aver raggiunto un accordo con la maggioranza. Non pensavo che mi facessero un monumento ma non accetto di venire costantemente insultato".
Frecciatine a Meloni, prevedibilmente crescenti all'avvicinarsi delle europee e della necessità di serrare i ranghi, sempre più ristretti "a nord del Rubicone", per non rischiare di restare fagocitati da un programma talvolta confondibile da parte dell'elettorato con quello di Fratelli d'Italia. A Pontida la Lega mostra le proprie battaglie, e soprattutto come proprie le rivendica, arrivando a presentarsi come contraltare di una destra istituzionalizzata e forse più mainstream di quanto alcuni elettori nel 2022 si aspettavano.
A tirare la maggiore stoccata in questo senso è sorprendentemente il presidente del Veneto Luca Zaia, raramente considerato un falco in seno al partito ma da molti visto come il volto simbolo della radicalizzazione leghista sui territori (nonostante la presidenza della conferenza delle regioni al collega Fedriga e l'esperienza come Ministro dell'Agricoltura del Governo Berlusconi IV).
Nel giorno in cui a Lampedusa va in scena la visita della Presidente della Commissione Europea, fortemente voluta da Meloni con grande consumo di tempo ed energie, dal palco del "pratone" Zaia dice: "Non abbiamo perso l’identità. Il Leone è sempre più incazzato. Qualcuno pensa che la Lega si faccia indicare la via, ma non è così. La indica sull’autonomia e sull’immigrazione. Lampedusa non è un confine italiano ma europeo. Von der Leyen vada a Lampedusa e poi però torni a casa a risolvere i problemi". Parole che potrebbero suscitare qualche imbarazzo alla Premier, ma che galvanizzano il pubblico di 100mila (secondo fonti del partito) militanti leghisti.
Non manca poi il citato affaire Le Pen. Se è vero che Salvini evita gli attacchi frontali al governo, lasciandoli piuttosto ai suoi uomini, è altrettanto vero che la presenza della leader del Rassemblement National non può certo essere inteso come un gesto di distensione in via della Scrofa. La possibilità di un riavvicinamento a favore di europee tra Lega, FI e FdI, sempre più vaga nelle ultime settimane, è stata definitivamente spazzata con il primo passo di Le Pen sul palco del piccolo comune bergamasco.
Da qui la francese ha speso parole di grande stima per il collega, più volte da lei definito amico, Salvini, promettendo da parte sua, quanto propria, il massimo impegno alla resistenza ad "influenze esterne". Quali queste influenze siano non viene specificato, ma non sono in pochi a ritenere che qualsiasi sia il significato che si voglia dare alle parole di Le Pen, il soggetto (o i soggetti) di riferimento siano in queste ore a Lampedusa.
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