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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Si celebra la Liberazione dal Fascismo secolare. Mentre siamo nel Fascismo perenne

Come ogni anno, il 25 aprile fa sfoggio di analisi e di memorialistica tra lo strategico e il nostalgico. Ma sullo stato concentrazionario appena passato, e già pronto a tornare, nessuno si allarma.

25 Aprile 2023

Mattarella al Vittoriano sotto lockdown

Giorgia Meloni, sempre più decisa a durare, recita sul Corriere la professione di antifascismo per il 25 aprile come invitata dal redivivo Gianfranco Fini, sapendo che non le basterà e non le servirà essendo l'antifascismo memorialistico faccenda di pura strategia militante. Ma la nostra Giorgia è una che impara in fretta e si consegna alla propaganda egemone. Non che ci sia niente di male, intendiamoci, il 25 aprile resta celebrazione della ritrovata libertà. Solo che come ogni anno, e in particolare quest'anno di potere percepito come abusivo dalla sinistra, è tutto un gioco fra il retorico, il conformistico e il discretamente ipocrita: da una parte l'antifascismo forsennato e infantile dell'Anpi, dei Berizzi, del PD che flirta con i terroristi più o meno climatici, dall'altra l'anti-antifascismo peloso, e magari barboso, dei nostalgici, bene o male, come Marcello Veneziani che se la gioca meglio di un La Russa al quale l'età avanzata non può continuare in eterno a fornire alibi per i suoi vaneggiamenti. L'antifascismo di sinistra, diciamo pure comunista, ammantato di grandi ideali e di giuste letture e memorie mantiene un tratto ideologico e quindi rozzo, strumentale, le analisi sul fascismo da destra però cominciano a sapere di stantio, di rimescolato per quanto sottili o falsamente sottili: il fascismo diverso dal nazismo totalitario e nibelungico, la parentesi infettiva di Croce, il filosofo idealista, la natura fondamentalmente moderata, ordinativa come la vedevano Montanelli e De Felice, che però in cuor suo sapeva il fascismo tendere più al totalitarismo, al punto da ispirare la dittatura più feroce di tutte, quella hitleriana. Sì, tutto interessante, tutto discutibile, ma

ne deriva il solito girare attorno alla questione fondamentale: quale fascismo? Quello mussoliniano, a cento anni dalla nascita, a ottanta dalla fine, affidato alle reminiscenze traballanti delle staffette partigiane ancora in vita? E quale antifascismo? Quello comunista che voleva traghettare l'Italia dalla dittatura nera a quella rossa, sovietica? Quello, perdente, dell'azionismo, l'altro più furbo, più compromissorio, bianco, democristiano che i fascisti finiva per recuperarli tutti, d'accordo Togliatti, e un po' per contenerli e un po' per servirsene, da cui il patto democratico fondamentale: io DC non ti metto fuorilegge e tu PCI non mi fai la rivoluzione in casa.

Sì, tutto bello, intrigante per gli storici e per i nostalgici, ma possiamo convenire che oggi, nell'anno di disgrazia 2023, sembra tutto fuori dal tempo e magari dalla decenza? Non perchè la memoria della libertà venga celebrata, ma perché la memoria democratica senza democrazia pare faccenda discretamente nauseabonda. Dove sta oggi il fascismo, dove i sottofascismi contro i quali battersi? Proveniamo da un'ondata di statalismo concentrazionario che ha travolto, sconvolto il mondo, concentrandosi particolarmente nella Cina del capitalismo totalitario e nell'Italia falsamente democratica, non più democratica; al punto che per almeno due anni il 25 aprile è parso faccenda distante, incongrua: come celebrarlo, come invitare all'attenzione contro una privazione dei diritti democratici fondamentali, civili, politici restando agli arresti domiciliari col pretesto di esigenze sanitarie? Mattarella da solo al Vittoriano, in un 25 aprile svuotato dal coprifuoco, fu l'immagine di una contraddizione grottesca fino al tragico. Ed è di queste ore la confessione impune dell'ex primo ministro Giuseppe Conte: “Sapevo di fare qualcosa di eversivo e così ho costretto, ho torto l'informazione in modo che la gente non si ribellasse”. Più dittatura di questa! E i crismi c'erano tutti a partire dalla degenerazione maligna dei cittadini contro i cittadini, la demonizzazione incontrollata, il nutrirsi del male che è tipico dei cortocircuiti sociali, delle dittature montanti. Il successore, Draghi, sarebbe andato perfino oltre imponendo metodi e strumenti ricattatori, di controllo ossessivo, potenziando le discriminazioni, privando milioni di cittadini del diritto al lavoro e alla sopravvivenza, il tutto per imporre un preparato, col senno del poi, pericoloso se non devastante. E di mentire lo sapeva: “Non ti vaccini, ti ammali, fai morire” mentre l'Aifa e il ministero sanitario di Speranza si scambiavano messaggi ignobili: “Spaventare, terrorizzare tutti perché i dati non tornano, il vaccino non funziona”.

La stessa procedura adottata, e tuttora utilizzata, in tema di presunti cataclismi climatici, ma a livello globale. Anche sul clima, sull'ambiente è cresciuta una narrazione unica, fascista, comunque totalitaria quanto a cause e effetti senza il minimo riscontro anzi truccando i dati e i riscontri: lo scandalo dell'Ippc, il climagate, con le mail del 2009: “Non rischiamo niente, è tutto sbagliato, tutto inventato”; “Sì, ma dobbiamo insistere anzi spargere ancora più terrore”. Il terrore come arma, cavallo di Troia delle dittature del pensiero e dei nuovi affari e consumi, un'arma non resistibile perché non sindacabile, psicologica, che affonda nelle paure ancestrali dell'uomo e serve per qualsiasi cosa: con che altro l'Unione Europea degli apprendisti stregoni, i Timmermans, le Ursula, fino agli Schwab, a tutti gli altri, con che altro calano dall'alto i loro stravolgimenti totali, dall'automobile all'abitazione, dalla dieta alle privatissime attitudini, se non con la solita minaccia dell'Apocalisse incombente? È la “permacrisi”, termine coniato alla bisogna, che piace molto alla baronessa Ursula per dire uno stato di isteria permanente da curare con sempre nuovi preparati tossici e mutamenti tossici imposti.

Poi c'è l'altro fascismo, quello interno, dei singoli paesi, quello burocratico. Persa momentaneamente la guerra del controllo ossessivo, spezzato dai pionieri anglosassoni della globalizzazione, Reagan, Thatcher, i sistemi statali reagivano incrementando le procedure di controllo endogeno, ramificando la burocrazia fino a farla diventare un sovrapotere in grado di paralizzare ogni cosa – o di consentire, a caro prezzo, qualunque cosa. Processo segnalato da Béatrice Hibou come da Sabino Cassese, destinato a degenerare nella controdemocrazia tratteggiata da Rosanvallon; o del potere reticolare già postulato da Foucault, che di Rosanvallon fu maestro, se non orizzontale, infrastrutturale, disaggregato, nella lettura del sociologo Michael Mann. Modi eleganti, raffinati per dire della democrazia negativa che si risolve in dittatura sostanziale, apparentemente morbida ma pronta, all'occorrenza, a tirar fuori la violenza legittimata di Weber. Legittimata fino a quando? E siamo poi sicuri sia davvero morbido il penare tra continue innovazioni fiscali, adempimenti ossessivi, obblighi e divieti paranoidi? Ora, di questo stato metastasi, di questo sistema corrotto e decomposto, che nell'eccesso di istituzioni e di procedure lascia uno squilibrato libero di sfondare una dottoressa che lo cura o un balordo sbarcato da chissà dove di stuprare la prima incauta che gli presta ascolto, di questo sistema autoritario che sostanzia il fascismo del terzo millennio, non parla nessuno. E non ne parla per la semplicissima ragione che il suo orizzonte è condiviso dalla politica al suo completo. La destra postfascista arrivata al potere ha scoperto che la resistenza antifascista le piace, vuole farne parte, vuole condividere la grande mangiatoia retorica che prelude alla spartizione del controllo statalista. Come si vede nella liturgia all'Altare della Patria, tutti insieme, il fascista eterno La Russa e la Meloni che se ne smarca fianco a fianco con la presidente della Corte Costituzionale Sciarra, teorica del regime blindato dalla magistratura se ordito dal partito egemone, il suo, quello del suo presidente. Il capo dello stato italiano, nazionale, Mattarella, va in Francia a dire che l'Italia deve cedere parte della sua sovranità al sovrapotere europeo: parte quanta? Fino a che limite? Mattarella ha cura di non precisarlo e nessuno osa chiederglielo. In compenso, le forze politiche, sempre meno forti, sempre meno degne, sembrano paghe di reagire alla progressiva spoliazione di autonomia a dimensione nazionale e ultranazionale potenziando la stretta burocratica, del controllo, del ritorno possibile a dimensioni reazionarie e perfino reclusive. Dice la verità, una verità scomoda ma non contestabile, Massimo Cacciari quando osserva che, presentandosi l'occasione, chiunque sia al potere tornerà a fare esattamente quanto hanno fatto Conte e Draghi. Anche qui le ragioni sono elementari e sono palesi: non abbiamo nessuna tradizione liberale e libertaria, i sedicenti filosofi somari, totalmente digiuni di scienza politica, confondono liberalismo con post liberismo, le grandi tradizioni ideologizzate sono tutte nel segno dell'autoritarismo: la sinistra non perde la matrice sovietica, come si vede ancora oggi nel sostegno ideale ai dittatori comunisti residui; la destra proviene, nella migliore delle ipotesi, da una matrice sociale, socialfascista, di cui Giorgia Meloni è oggi l'esponente moderno, presentabile, ma pur sempre convinta della fondamentale supremazia dello stato burocratico sui cittadini; la stessa Chiesa cattolica è autoritaria, giostra fra le ideologie contrapposte ma non arriva mai al punto da privilegiare l'individuo, lo vuole sempre in posizione fideistica, sottomessa, sotto l'allucinante periodo pandemico i parroci sono stati i primi ad allinearsi alla narrazione autoritaria, in molti casi andando oltre. E, per la Chiesa, individuo, individualismo restano parole empie, quasi blasfeme in una interpretazione del Vangelo e perfino del francescanesimo come minimo disinvolta.

Quasi nessuno, comunque pochissimi in Italia tiene nel suo Pantheon personale i pensatori e i teorici della libertà, quasi tutti tornano ai grandi sistemi, ai grandi controlli; l'italiano si lamenta della eccessiva pressione ad ogni livello ma appena può torna ad inseguire suggestioni autoritarie, l'uomo forte avvolto, ma non sempre, non necessariamente, in una rispettabilità democratica sempre meno plausibile, sempre meno condivisibile. E una volta messi ai ceppi, gli italiani si sono disposti a obbedienza con una docilità che ha stupito perfino i loro tiranni. Un regime che preferisce la mascherina al manganello, vagamente alla Mengele come vuole il dirigismo sanitario tecnocratico e psicotico che non deve passare mai. Il santone Bertolaso blocca il portale Areu per censurare le notizie sui malori improvvisi da vaccino e pare cosa normale, una protesta di facciata dai giornalisti lombardi che però in tre anni si erano già abbondantemente censurati da soli. Ma sì, continuiamo a scannarci sul fascismo di cento anni fa, a dire che non deve tornare per non dire, per non vedere che è già tornato e ci sta bene così.

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