09 Settembre 2022
Roberto Cingolani se ne va. Peccato. Mancavano solo otto anni dalla data che aveva indicato per coprire il 70% del fabbisogno energetico dell’Italia tramite fonti rinnovabili. Ma il governo di Mario Draghi, che aveva istituito il suo ministero, quello della Transizione ecologica, non è riuscito neppure ad arrivare al 2023. Figuriamoci al 2030.
Lascia, Cingolani. Deve farlo. Tra un paio di settembre si vota e lui non vuole intraprendere la carriera politica. “Io ho finito il mio lavoro. Dovevo fare quel che ho fatto, ero un tecnico del governo Draghi”, ha detto all’uscita dal Consiglio energia dell’Ue, che si è tenuto oggi, venerdì 9 settembre, per discutere il price cap. È stato sfortunato, il ministro. Quando tutti, Italia compresa, parlavano di svolta green, di eolico, di fotovoltaico, ecco che la Russia inizia la guerra in Ucraina e scombina i piani energetici internazionali. “L'obiettivo del Pnrr di arrivare al 70% di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030 è molto sfidante, ma fattibile”, aveva ribadito Cingolani nel 2021. “Bisognerà decuplicare ogni anno la potenza delle rinnovabili installate. La transizione dev’essere sostenibile e giusta anche per l’industria e i posti di lavoro. Non deve lasciare indietro nessuno. Va bene spingere sull’elettrificazione, ma dobbiamo essere sostenibili anche nel fare gli impianti di produzione di energia”.
La guerra nell’Europa dell’Est, dicevamo. Quella non poteva prevederla nessuno. Al contrario, che le sanzioni e lo stop ai rifornimenti russi avrebbero potuto generare un drastico aumento delle bollette, forse quello sì, si poteva immaginare. Fatto sta che Cingolani, l’uomo che avrebbe dovuto condurre l’Italia nell’era delle rinnovabili, saluta mentre sul territorio sono pronte a ripartire a pieno regime sei centrali a carbone. È stato proprio il ministero della Transizione ecologica a pubblicare un regolamento per “realizzare da subito risparmi utili a livello europeo a prepararsi a eventuali interruzioni delle forniture di gas dalla Russia”. Si legge nel testo: “Per ridurre il consumo di gas rispetto al tendenziale, un contributo di diversificazione ulteriore rispetto all’apporto delle rinnovabili può essere ottenuto dalla massimizzazione della produzione di energia elettrica da impianti che usano combustibili diversi dal gas (carbone, olio combustibile e bioliquidi), già oggi sostenuta dagli alti prezzi dell’energia elettrica sul mercato. In particolare, è stato stimato che la massimizzazione della produzione a carbone e olio delle centrali esistenti regolarmente in servizio contribuirebbe per il periodo 1° agosto 2022-31 marzo 2023 a una riduzione di circa 1,8 miliardi di Smc”. Le centrali a carbone in Italia sono sei, più una a olio. Quelle a carbone sono in quattro casi dell’Enel: Fusina (Venezia), Brindisi, Torrevaldaliga (Civitavecchia) e Portovesme, in Sardegna. La compagnia Ep Produzione possiede la centrale a carbone di Fiume santo in Sardegna. A2a una a Monfalcone, oltre a un impianto a olio combustibile situato a San Filippo del Mela (Messina). E Cingolani? Ci ha lasciato in eredità il suo piano, sì, quello dei termosifoni. Ma lui che cosa farà? “La politica deve riprendere il suo predominio, il Parlamento deve riprendere il suo predominio e io devo trovare un lavoro”.
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