29 Agosto 2022
“Conosco l'Abruzzo perché mio nonno era di Amatrice”: Claudio Lotito scivola sulla geografia come un calciatore della Lazio con i tacchetti sbagliati. Lotito, alle elezioni del 25 settembre, correrà per il Senato con Forza Italia in Molise,regione che ha ammesso di “non conoscere bene”. E fin qui, viva la sincerità. La gaffe, però, è arrivata sulla cittadina laziale di Amatrice, che per il patron biancocelesti si trova “in Abruzzo”.
Lotito, noto per i latinismi e per le citazioni storiche, si trovava al Centrum Palace di Campobasso per la presentazione dei candidati di Silvio Berlusconi quando, per difendersi da chi l’ha definito un “paracadutato”, ha commesso la gaffe: “È vero, non conosco questo territorio”, ha spiegato a proposito alla sua conoscenza sulla regione in cui è candidato. “Anche se conosco l'Abruzzo perché mio nonno era di Amatrice”. E qui è arrivata la figuraccia: la cittadina di cui era originario il nonno di Lotito, salita alla ribalta delle cronache per il drammatico terremoto del 2016, al massimo confina con l’Abruzzo, ma si trova ancora nel Lazio, precisamente in provincia di Rieti.
Dopo lo scivolone Lotito ha continuato il suo intervento rivolto agli elettori e alle elettrici del collegio molisano in cui è candidato: “Mi sono documentato e non su Wikipedia perché io non uso i social e non ho nemmeno Google sul telefonino. Ma mi prendo un impegno con la popolazione molisana, perché questa regione ha bisogno di rappresentanti che ne sposino la causa: è una regione ignorata che non ha voce. Mi trasferisco in Molise per questo periodo di campagna elettorale, starò sempre qua e farò il giro dei paesi”. Sperando che non confonda il Molise con le Marche. Il numero uno della Lazio, che modestamente si definisce “come Gesù che ha cacciato i mercanti dal tempio”, non è nuovo alle gaffe. Qualche anno fa, per esempio, per commentare il caso del fotomontaggio di Anna Frank da parte dei tifosi laziali, Lotito aveva confuso il luogo di culto degli ebrei con quello dei musulmani, dicendo di essere andato “alla moschea a deporre una corona biancoceleste”. Peccato che fosse una sinagoga. Nel 2019, invece, disse la sua, a modo suo, sui buu razzisti negli stadi. “Non sempre la vocazione buu corrisponde effettivamente a un atto discriminatorio o razzista. Ricordo quando ero piccolo, spesso persone non di colore, che avevano la pelle normale, bianca, gli facevano buu per scoraggiarlo a segnare il gol davanti al portiere. Andrebbe interpretato”. Sì, andrebbe interpretato. Lui, però.
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