03 Giugno 2021
Giuseppe Conte (foto LaPresse)
C'era una volta, in un posto lontano lontano (solitamente lo schermo di un pc per seguire la sua ennesima diretta Facebook nel cuore della notte) l'Avvocato del popolo. Si presentava come il principe azzurro della politica italiana, l'unico in grado di tenere uniti indifferentemente Movimento Cinque Stelle e Lega, poi ancora il medesimo Movimento Cinque Stelle e il Partito Democratico, con Italia Viva di Matteo Renzi e con un pizzico di Liberi e Uguali. Sui social fiorivano anche i gruppi di estimatori e ammiratrici come le "bimbe di Conte".
Ah sì, perché stiamo parlando di Giuseppe Conte da Volturara Appula, provincia di Foggia. "Giuseppi", come lo chiamava il suo amico Donald Trump, sembrava l'uomo buono per tutte le stagioni, capace di allearsi coi sovranisti anti migranti e anti Europa prima e con i navigati democratici pro migranti e pro Europa.
Poi si è rotto qualcosa. Le sue conferenze stampa notturne, i suoi DPCM e la sua ostilità nei confronti di Renzi non sono bastate più per farlo sembrare lo statista che lui stesso si era convinto di essere. Caduto Trump negli Stati Uniti, è caduto anche lui. Già, perché Joe Biden probabilmente non sa pronunciare correttamente "Giuseppi". Sarà per quello che gli ha fatto fare anticamera per oltre una settimana prima di rispondere alla sua telefonata di congratulazioni per la vittoria alle presidenziali americane dello scorso 3 novembre.
Prevedibilmente riportato subito a bordo dal Movimento Cinque Stelle, Conte non ha certo archiviato l'ambizione di tornare a essere leader del governo. La cattedra universitaria è bella, ma vuoi mettere la comodità della poltrona di Palazzo Chigi? Ma per tornarci, lui che ora è fuori dal palazzo, ha riscoperto quella vena populista che aveva provato a celare durante i lunghi mesi della pandemia e della retromarcia filo atlantista lungo la Via della Seta cinese. La retromarcia in cui, tra le altre cose, ospitò i viaggi segreti dell'allora procuratore generale americano William Barr (l'equivalente del nostro ministro della Giustizia) a caccia di fantomatiche prove del complotto obamiano/clintoniano ai danni di Trump sul Russiagate.
Negli imprevedibili contorcimenti della vita, ora il populista Di Maio, il discolo che andava a incontrare i gilet gialli facendo incazzare come una biscia Emmanuel Macron, è diventato un perfetto uomo dell'establishment. Conte, invece, è diventato il ribelle capriccioso, che non vuole parlare con Mario Draghi e non apre il canale di dialogo con Palazzo Chigi perché in fondo, come riferiscono fonti interne al M5s, il suo vero obiettivo è di farlo cadere il governo.
Un governo dove sta comodo Di Maio, ormai rivale interno dell'avvocato del popolo. L'esistenza di due linee contrapposte la si è evinta anche dal diverso atteggiamento sulla giustizia. Di Maio si è scoperto garantista con la lettera su Uggetti, Conte ha invece ribadito l'importanza della questione morale e dell'intransigenza. Chi lo avrebbe mai detto, eppure in quel teatro spesso dell'assurdo che è la politica italiana capita anche questo. Un ribaltamento dei ruoli che forse non è dovuto a cambiamenti dei personaggi coinvolti, ma solo al venire finalmente alla luce della loro vera natura.
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