05 Marzo 2021
Nicola Zingaretti (foto LaPresse)
Zingaretti non è più segretario del Pd: è questa la notizia balzata a metà pomeriggio di ieri su tutte le agenzie. In molti non se l’aspettavano, anche se ormai era evidente da mesi, che il potere del leader dimissionario all’interno del suo partito era sempre più in discussione. C’è chi si aspettava uno Zingaretti ancorato al suo ruolo, in attesa di arrivare al congresso per giocarsi tutte le sue carte. Invece, così, non è stato: dopo due anni tutt’altro che facili il presidente della Regione Lazio ha dovuto alzare bandiera bianca. Per l’ex segretario democratico non è mai stata facile fin dall’inizio. Ha preso per mano il Pd nel suo momento più drammatico, quel 4 marzo del 2019, giorno delle elezioni che consacrarono il successo dei 5Stelle e della Lega di Salvini, ma che rappresentò uno dei momenti più bassi, in termini di consensi e voti, dei democratici. Ha dovuto convivere per sei mesi con la presenza ingombrante di Renzi, quest’ultimo allergico a subire ordini da un politico che considera meno capace di lui e con minor personalità. Ed ha dovuto subire, ancora, le ingerenze dell’ex compagno di partito che, anche una volta fondata Italia Viva, è stato costantemente una presenza ingombrante negli equilibri del Pd. Con i renziani rimasti nel partito a remargli contro: troppo amico dei “rottamati” Bersani e D’Alema hanno spesso mormorato. Una convivenza forzata tramutatasi nell’accordo, in Senato, dell’intergruppo Pd-M5S-Leu, fatta da Andrea Marcucci, capogruppo a Palazzo Madama senza avvertire Zingaretti. Nel frattempo ha perso anche un altro pezzo da novanta Carlo Calenda, figura in grado di attrarre una piccola parte, ma non indifferente, degli elettori moderati.
Difficile, anzi terribilmente complicata, la situazione in cui si è trovato il segretario dem: tirato per la giacca da più parti, senza avere la personalità del leader, in un momento in cui si doveva risollevare un partito in una crisi di identità che, durante la sua segreteria, si è acuita. Il Pd, in questo momento, ha un bacino di elettori limitato rispetto a quello del passato: non piace a chi è troppo a sinistra e, sicuramente, al centro destra ed alle destre, ma non attrae più neanche il “popolo” che, ormai, lo ha incasellato come partito rappresentante di una certa parte della società benestante e “benpensante” lontana anni luce dalla realtà delle persone comuni. Chiariamo, non solo per colpa di Zingaretti, anzi: il percorso di allontanamento dai cittadini era già cominciato molto prima, da quando il Pd si è arroccato alla difesa di certi totem, penso allo politiche immigrazioniste o alla parità di genere, tematiche sicuramente importanti, che non rappresentano la priorità di un Paese già in crisi economica prima della pandemia, figuriamoci dopo.
Liberatosi, si fa per dire di Renzi, Zingaretti ha dovuto affrontare, poi, un altro problema: quello di Stefano Bonaccini, che se inizialmente si era rivelato l’ancora di salvezza del Pd e del suo segretario alle amministrative in Emilia, è divenuto prima presenza sempre più ingombrante, poi apertamente un rivale. Il Governatore dell’Emilia Romagna gode di stima, ha personalità, diffonde più sicurezza. Meno moderatore di Zingaretti ma con un modo di fare più carismatico e, soprattutto, in ottimi rapporti con i renziani. L’ex segretario Pd ha provato a restare al suo posto rinviando il congresso al 2023 ma, poi, deve essersi reso conto che sarebbe stato più onorevole la resa. E così ha fatto, anche perché la schiera dei suoi detrattori si è fatta sempre più amplia: dai sindaci di Firenze e Bergamo dem Dario Nardella e Giorgio Gori, forse anche Giuseppe Sala, primo cittadino di Milano, ai compagni di partito Matteo Orfini e Sandra Zampa.
Per il Pd finisce l’era Zingaretti, un’epoca difficile, che se il segretario uscente non è riuscito a gestire con la personalità e con un chiaro indirizzo politico come una parte del suo partito gli imputa, lo ha fatto, comunque, dimostrandosi un leader corretto, moderato ed aperto al dialogo. Se il futuro del Pd potrà essere migliore senza Zingaretti alla sua guida sarà la storia a dircelo sebbene ritenga che la crisi dei democratici sia molto più profonda e parta da lontano.
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