Nasa apre al nucleare sulla luna, il segretario ai Trasporti Sean Duffy: "Entro il 2030 lanceremo un reattore da 100kw sul nostro satellite"
Nonostante queste sfide, gli esperti ritengono l’impresa tecnologicamente realizzabile. “Non è fantascienza”, ha affermato Sebastian Corbisiero, responsabile del programma di reattori spaziali al Dipartimento dell’Energia
I reattori nucleari forniscono energia sulla Terra da oltre 70 anni. Ma quanto sarebbe difficile installarne uno sulla Luna, per garantire energia continua e abbondante durante le notti lunari, che durano due settimane e sono estremamente fredde? E soprattutto: sarebbe possibile farlo entro i prossimi cinque anni?
È proprio questa la domanda che, la scorsa settimana, ha posto Sean Duffy, attuale Segretario ai Trasporti e amministratore ad interim della NASA. Duffy ha chiesto lo sviluppo di un reattore nucleare in grado di generare almeno 100 kilowatt di elettricità — l’equivalente del fabbisogno di circa 80 abitazioni statunitensi — da inviare sulla Luna prima del 2030.
Nasa apre al nucleare sulla luna, il segretario ai Trasporti Sean Duffy: "Entro il 2030 lanceremo un reattore da 100kw sul nostro satellite"
Se realizzata, questa tecnologia cambierebbe radicalmente la capacità umana di esplorare e vivere nel sistema solare. Al momento, la maggior parte dei veicoli spaziali robotici della NASA opera con livelli di potenza paragonabili a quelli di una lampadina a incandescenza. Una limitazione che condiziona fortemente le strumentazioni scientifiche che possono essere installate a bordo.
La Stazione Spaziale Internazionale è alimentata da pannelli solari, ma questo sistema non è praticabile per habitat umani sulla Luna, dove il ciclo giorno-notte dura circa 28 giorni terrestri, con 14 giorni consecutivi di buio e freddo estremo. Lo stesso vale per Marte, dove la minore intensità della luce solare limita l’efficienza dei pannelli.
Un reattore nucleare sulla Luna aprirebbe la strada anche a nuovi sistemi di propulsione più rapidi ed efficienti per l’esplorazione spaziale.
L’uso di fonti radioattive per missioni spaziali non è inedito. Le sonde Voyager 1 e 2, lanciate nel 1977 e tuttora operative, sono alimentate da generatori termoelettrici a radioisotopi (RTG) basati sul decadimento del plutonio. Inizialmente producevano circa 470 watt, oggi ridotti a 225. Tuttavia, questi generatori funzionano più come batterie a lunga durata che come veri e propri reattori a fissione come quelli terrestri.
Il nuovo piano mira invece a sfruttare la fissione nucleare, cioè la scissione controllata degli atomi di uranio, per generare una quantità di energia di gran lunga superiore rispetto ai pannelli solari o agli RTG.
“Il Segretario è stato chiaro: dobbiamo andare oltre ciò che è stato fatto con il programma Apollo”, ha dichiarato un alto funzionario della NASA, parlando in forma anonima.
Un reattore nucleare lunare non sarebbe identico a uno terrestre. Dovrebbe essere compatto e leggero, adatto al trasporto con un razzo, e verrebbe attivato solo dopo l’arrivo sulla Luna, per motivi di sicurezza.
La superficie lunare pone sfide ambientali uniche: assenza di aria e acqua, escursioni termiche estreme — da +120 °C durante il giorno a -200 °C di notte — e l’esigenza di dissipare calore in un vuoto totale. I progetti più promettenti prevedono l’uso di grandi radiatori per mantenere il reattore a temperature operative.
Kevin Au, vicepresidente per l’esplorazione lunare presso Lockheed Martin, ha indicato che uno degli ostacoli principali è lo sviluppo di materiali in grado di resistere a temperature elevate per l’efficiente conversione del calore in elettricità.
Nonostante queste sfide, gli esperti ritengono l’impresa tecnologicamente realizzabile. “Non è fantascienza”, ha affermato Sebastian Corbisiero, responsabile del programma di reattori spaziali al Dipartimento dell’Energia. “È assolutamente fattibile.”
Ma non tutti concordano. Alcuni esperti esterni giudicano irrealistica l’idea di costruire e lanciare un reattore in meno di cinque anni. Kathryn Huff, ex funzionaria per l’energia nucleare al Dipartimento dell’Energia, oggi professoressa all’Università dell’Illinois, ha sottolineato come manchi ancora un contesto operativo. “Se il reattore deve alimentare un avamposto, non ha senso costruirlo senza che l’avamposto esista”, ha detto.
Inoltre, i tempi per ottenere le autorizzazioni regolatorie per lanciare materiale nucleare nello spazio sono stimati in almeno due anni.
Sebbene i fondi stanziati non siano stati ancora resi noti, si parla di un investimento che potrebbe raggiungere centinaia di milioni o anche oltre un miliardo di dollari.
I tentativi precedenti e i limiti attuali
Nel 2022, la NASA e l’Idaho National Laboratory hanno assegnato contratti per lo sviluppo dei primi concept di reattori da 40 kilowatt. Le aziende coinvolte erano Lockheed Martin, Westinghouse, e una collaborazione tra Intuitive Machines e X-energy. Tuttavia, nessuno dei tre progetti ha raggiunto l’obiettivo di rimanere sotto le sei tonnellate di peso.
“Non esiste la tecnologia per farlo, almeno non oggi”, ha dichiarato Vincent Bilardo di Intuitive Machines. “Parliamo piuttosto di sistemi tra le nove e le dieci tonnellate, anche per soli 40 kilowatt.”
Un sistema da 100 kilowatt, quindi, sarebbe probabilmente ancora più grande. La direttiva di Duffy prevede comunque che il lander spaziale destinato al trasporto del reattore abbia una capacità di carico utile di 15 tonnellate. Al momento, nessun veicolo spaziale è pronto per tale missione, ma sia Starship di SpaceX che Blue Moon di Blue Origin, in fase di sviluppo, potrebbero soddisfare questi requisiti nelle versioni cargo.
Aziende come Intuitive Machines e Lockheed Martin hanno già espresso interesse a partecipare alla gara per i contratti. “Siamo contenti che si stia passando all’azione”, ha dichiarato Kevin Au. “Questo progetto è perfettamente in linea con le nostre strategie”.