10 Giugno 2025
Fonte: LaPresse
Il centrosinistra farebbe meglio a non proseguire sulla china del “Abbiamo preso più voti della Meloni alle politiche” perché altrimenti dovremmo ricordare loro che anche Sinner, nella tristissima finale del Roland Garros, ha fatto un punto in più di Alcaraz ma ha perso e non si dà pace. Così come nel calcio si può perdere pur facendo più tiri in porta e nella boxe basta un solo colpo ben assestato per rovesciare un match dove l’avversario prevale ai punti. Nello sport come nella politica (anzi nella politica a maggior ragione) la somma non fa il totale.
Quindi, guardando il pallottoliere, possiamo dire che il centrosinistra ha perso il referendum, il Pd avrà un contraccolpo importante perché i riformisti hanno tutto il diritto di rivendicare uno spazio dimostrando che la maggioranza degli italiani non vuole tornare indietro e che le battaglie sull’immigrazione, messe come le mettono la Schlein e compagnia, sono respinte pure nel campo progressista.
Dall’altra parte, però, nemmeno al centrodestra conviene adagiarsi su posizioni in bilico tra lo sfottò e la rendita di posizione: se l’opposizione dovesse infatti trovare l’intesa elettorale comune, i collegi uninominali soprattutto nel centrosud andrebbero più facilmente sotto le bandiere del campo largo. Con buona pace della successiva governabilità, nelle sfide uninominali si vince per un solo voto sull’altro. Pertanto la Meloni deve rivedere la chimica dell’alleanza con la consapevolezza che l’elettorato da tenere caldo evitando la dispersione dell’astensionismo sarà soprattutto dalla sua parte. Che novità mette in campo?
Detto tutto questo veniamo al merito delle questioni legate ai referendum: il tema del lavoro c’è, è complesso perché vive di frastagliamento, e riguarda anche il governo. Andiamo per sintesi. Il centrosinistra ha perso perché la torsione a sinistra non è credibile e l’incollamento alla Cgil lo è ancor meno. Ma perché mai i lavoratori dovrebbero credere all’ennesima giravolta quando sulla loro pelle stanno vivendo le riforme scritte dal centrosinistra negli anni? Gli operai sono stati fregati più dal loro partito che dal centrodestra: è il centrosinistra a stare nei salotti con gli imprenditori e i banchieri ed Landini a cercare la sponda nella Repubblica e nella Stampa della famiglia Elkann/Agnelli.
Ogni riforma era un buco che si apriva nel muro dei diritti e delle certezze di operai e lavoratori, era un cedimento alla precarizzazione più che alla flessibilità. O almeno così è sempre stato percepito da quel target. A ciò si aggiungano i tatticismi dei sindacati, morbidi quando a Palazzo Chigi c’erano o premier del centrosinistra o tecnici appoggiati anche dal centrosinistra: Monti e Fornero sono “figli” di quelle larghe intese. A Torino la Fiat ha potuto smantellare le fabbriche senza particolari resistenze della Cgil e di Landini segretario generale.
Di riforma in riforma il lavoro si è frastagliato sempre di più, con la conseguenza che il lavoratore si è trovato sempre più minacciato dalle crisi e dalle ristrutturazioni aziendali e con un indebitamento personale crescente cui dover far fronte. In poche parole: lavoro instabile, busta paga ferma o minacciata dalle crisi, indebitamento privato crescente; in una situazione del genere il lavoratore ha perso il senso della battaglia collettiva e si è rifugiato nella difesa del proprio interesse.
In tutto questo il governo di centrodestra, dove l’anima sociale è densamente rappresentata da Fratelli d’Italia e dalla Lega, non ha una proposta chiara su come dare robustezza ai dati statistici pur confortanti sull’occupazione; la voce e l’azione della ministra Calderone è impercettibile a tal punto che nella cabina di regia la premier gioca assai di sponda con la segretaria della Cisl Daniela Fumarola.
Del governo non è chiara la proposta e questo - nella inquietudine sociale delle retribuzioni rispetto al rincaro della vita - diventa un handicap specie se dall’altra parte il secondo partito della coalizione è il Movimento Cinque Stelle, la cui proposta di galleggiamento insiste su un reddito di cittadinanza che ormai è un mero sussidio.
Infine c’è quel mondo del lavoro che è fatto dalle partite Iva, vere o obbligate, c’è il mondo delle professioni e delle piccole imprese, a cui il governo non dà le garanzie che i tempi richiedono. In questi anni di disaffezione al voto non ci siamo accorti che a distrarsi dalla politica è un mondo che un tempo ci credeva eccome alla responsabilità della politica e delle istituzioni ma che oggi è arrabbiato perché si sente solo nel galleggiamento di una quotidianità che un tempo era più favorevole. Quel mondo si chiama ceto medio e con uno stipendio pieno manteneva la famiglia, garantiva gli studi ai figli fino all’università e si poteva permettere persino un mese di vacanza.
di Gianluigi Paragone
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