12 Novembre 2025
Trump Fonte: Imagoeconomica
Nel 2025, solo il 45-50% degli americani possiede un passaporto valido. Circa 170 milioni di cittadini statunitensi su una popolazione di oltre 335 milioni hanno questo documento che, teoricamente, garantisce l'accesso a 180 destinazioni senza visto in tutto il mondo. Un paradosso sconcertante: la superpotenza globale che ha esportato il concetto di libertà e mobilità, mantiene più della metà dei propri cittadini letteralmente ancorati al suolo nazionale.
Per contestualizzare questo dato: il 70% dei canadesi possiede un passaporto, l'82% dei britannici, il 41% dei tedeschi. Persino il Giappone, con appena il 17,5% di possessori di passaporti, rappresenta un caso particolare legato a questioni culturali specifiche e a una debole yen che disincentiva i viaggi all'estero. Ma l'America? L'America si colloca in una terra di mezzo inquietante, dove metà popolazione ha teoricamente accesso al mondo, e l'altra metà rimane confinata entro confini sempre più mentali e geografici.
I dati rivelano una frattura profonda che va ben oltre il semplice possesso di un documento. Le statistiche mostrano un abisso tra America urbana e America rurale, tra coste cosmopolite e heartland conservatore:
Questa divisione non è casuale. È il riflesso geografico di un'America profondamente divisa per istruzione, reddito, esposizione culturale e, soprattutto, visione del mondo. Le aree con maggiore concentrazione di laureati, redditi elevati e diversità etnica mostrano tassi di possesso passaporti significativamente superiori. Al contrario, le zone rurali, spesso omogenee etnicamente e culturalmente, con economie stagnanti e minor accesso all'istruzione superiore, vivono in una sorta di isolamento volontario.
La storia del passaporto americano è recente e rivelante. Nel 1990, solo il 5% degli americani possedeva un passaporto. Il grande salto avvenne nel 2007-2009, quando la Western Hemisphere Travel Initiative impose l'obbligo di presentare il passaporto per entrare in Canada e Messico, Paesi che fino ad allora non richiedevano questo documento. In un solo anno, le emissioni crebbero del 50%. Ma nonostante questa crescita spettacolare, il dato rimane sotto il 50%. Perché? Le ragioni sono molteplici e intrecciate:
L'elezione di Donald Trump nel 2016 e la sua rielezione nel 2024 non sono incidenti storici, ma l'espressione politica di questo isolazionismo geografico e culturale. Trump ha intercettato e amplificato il sentimento di una popolazione che si sentiva "dimenticata" dalla globalizzazione, dall'internazionalismo liberale, dalle élite cosmopolite. Il suo slogan "America First", non casualmente ripreso dal movimento isolazionista degli anni '30 che si opponeva all'intervento americano nella Seconda Guerra Mondiale, ha trovato terreno fertile proprio in quelle aree rurali dove i passaporti sono rari quanto le idee cosmopolite. Studi sociologici dimostrano che l'isolazionismo ha contribuito direttamente alla vittoria di Trump. Gli elettori con atteggiamenti isolazionisti avevano maggiori probabilità di votare per lui, indipendentemente dall'appartenenza partitica. Il messaggio era chiaro: basta con le guerre all'estero, basta con gli accordi internazionali, basta con l'immigrazione. L'America deve pensare solo a se stessa.
La correlazione è evidente:
Qui emerge il paradosso più profondo. L'America si è sempre considerata "eccezionale", ovvero come una nazione destinata a guidare il mondo, a esportare democrazia e libertà, a essere "una città sulla collina" che illumina l'umanità. Ma come può una nazione pretendere di guidare il mondo quando metà dei suoi cittadini non ha nemmeno un documento per visitarlo? L'eccezionalismo americano, storicamente fondato su tre pilastri – l'eredità illuminista di libertà universale, le radici puritane di missione morale, e la potenza geopolitica della sua dimensione – si sta trasformando in un eccezionalismo al contrario. Non più modello da imitare, ma anomalia da studiare:
La nuova amministrazione Trump, con le sue politiche apertamente isolazioniste – ritiro dagli accordi di Parigi, dalla WHO, dalle organizzazioni multilaterali – riflette e rafforza questo nuovo eccezionalismo: l'America non come faro del mondo, ma come fortezza assediata.
È istruttivo confrontare l'America con altri Paesi sviluppati. Il Giappone, con solo il 17,5% di possessori di passaporti, sembra un caso ancora più estremo. Ma le motivazioni sono diverse:
Eppure, paradossalmente, il passaporto giapponese è il secondo più potente al mondo (accesso a 190 paesi), mentre quello americano è sceso al 12° posto. La differenza? I giapponesi non pretendono di essere una superpotenza isolazionista. Hanno sempre avuto una cultura insulare, ma non la mascherano con retorica universalista.
In Europa, la situazione è opposta. La mobilità è facilitata dall'Unione Europea, dalle brevi distanze, dalla varietà culturale. Viaggiare è normale, non elitario. Un operaio tedesco può permettersi una vacanza in Spagna, uno studente italiano può studiare in Francia con Erasmus. L'Europa ha costruito la propria identità sulla mobilità e sulla mescolanza. L'America invece costruisce muri, fisici al confine col Messico, e mentali nelle proprie campagne.
Questa immobilità ha conseguenze politiche devastanti. Una popolazione che non viaggia, che non sperimenta altre culture, che non confronta il proprio sistema con quelli altrui, è più facilmente manipolabile. Diventa preda di narrazioni semplicistiche:
Quando Trump dice "Make America Great Again", parla a persone che non hanno termini di paragone. Come puoi sapere se l'America è grande o meno se non hai mai visto come vivono in Danimarca, Germania, o anche solo in Canada? La nostalgia per un passato idealizzato (gli anni '50 per i bianchi conservatori) sostituisce qualsiasi analisi razionale del presente.
Il risultato è una polarizzazione estrema: da una parte le élite urbane, viaggiate, multilingue, cosmopolite; dall'altra le masse rurali, monolingue, immobili, arrabbiate. E in mezzo, una classe media sempre più compressa che non sa più da che parte stare.
Siamo nel 2025. L'America di Trump sta costruendo un nuovo ordine – o meglio, un disordine – globale. Ritira le sue truppe, rompe alleanze storiche, impone dazi agli alleati, flirta con autocrati. E la popolazione? Metà non ha nemmeno un passaporto per andare a vedere cosa succede nel mondo che la loro politica sta sconvolgendo.
C'è qualcosa di profondamente tragico in tutto questo. L'America, paese costruito da immigrati, da persone che hanno attraversato oceani in cerca di libertà, ora trattiene i propri cittadini in una gabbia dorata di ignoranza volontaria. Le grandi città – New York, San Francisco, Los Angeles – rimangono finestre sul mondo. Ma oltre ciò c'è un'altra America, quella anonima, inquietante e culturalmente immobile e fortemente retrograda dei piccoli centri rurali, delle città industriali decadute, delle campagne infinite dove l'orizzonte mentale coincide con quello fisico. E non dimentichiamoci che questa America vota. E quando vota, decide il futuro del mondo. Gran parte degli americani si limita a vivere in grandi aree rurali restando lì, trascorrendo lì tutta la propria vita con il proprio bestiame senza provare interesse o curiosità su altro. In un mondo sempre più interconnesso, dove la mobilità è potere, dove la comprensione interculturale è necessità, dove i problemi globali richiedono soluzioni globali, l'America sta scegliendo l'isolamento. Non l'isolamento forzato della povertà – gli USA rimangono un Paese ricco – ma l'isolamento volontario dell'ignoranza celebrata.
Il paradosso finale è questo: mentre il passaporto americano perde potere (dal 7° al 12° posto in pochi anni), mentre l'influenza americana declina, mentre i vecchi alleati si allontanano, metà degli americani nemmeno se ne accorge. Perché dovrebbero? Non hanno nemmeno il documento per andare a vedere cosa succede.
E forse è proprio questo il punto. Un impero in declino può sopravvivere solo se i suoi cittadini non si accorgono del declino. Tienili occupati con le loro piccole vite locali, con le loro paure provinciali, con i loro miti autoconsolatori. Impedisci loro di vedere come vivono i danesi, i tedeschi, i canadesi. Così non faranno domande scomode. Non chiederanno perché, nel Paese più ricco del mondo, milioni non hanno accesso a sanità decente, a istruzione di qualità, a mobilità sociale.L'America senza passaporti è l'America senza domande. Ed è esattamente l'America che certi leader desiderano.
Di Eugenio Cardi
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