Ue, energia, competitività e sovranità industriale: l'Europa paga il prezzo della sua dipendenza strutturale, anche per lo stop al gas russo

L’Europa importa quasi tutta l’energia che consuma. Prima della guerra in Ucraina, il gas russo via tubo assicurava stabilità e prezzi relativamente bassi. La rottura di quel legame ha costretto l’UE a rivolgersi al gas naturale liquefatto (LNG), da acquistare su mercati globali competitivi

Un differenziale che pesa sulla crescita europea

Capire perché l’energia europea costa stabilmente più di quella americana significa capire perché l’industria del Vecchio Continente fatica a restare competitiva. Il prezzo finale non è frutto del caso: è la somma di componenti fisiche, istituzionali e geopolitiche che si alimentano tra loro.
L’Europa, dopo il 2022, si trova sul lato “caro” di quasi ogni fattore: dalla dipendenza energetica esterna ai costi di trasporto e stoccaggio, dalle regole ambientali più onerose alla volatilità dei mercati. Gli Stati Uniti, al contrario, partono da basi strutturalmente più solide: autonomia energetica, gas domestico a basso costo e mercati più flessibili. Il risultato è un differenziale che non colpisce solo le bollette domestiche, ma erode la competitività industriale e, di conseguenza, la capacità fiscale e strategica dell’Unione.

La radice della divergenza: dove nasce la “molecola”

L’Europa importa quasi tutta l’energia che consuma. Prima della guerra in Ucraina, il gas russo via tubo assicurava stabilità e prezzi relativamente bassi. La rottura di quel legame ha costretto l’UE a rivolgersi al gas naturale liquefatto (LNG), da acquistare su mercati globali competitivi.
Questo comporta costi aggiuntivi: liquefazione, trasporto via nave, rigassificazione e, soprattutto, una concorrenza serrata con Asia e America Latina per gli stessi carichi.
Gli Stati Uniti, al contrario, sfruttano la propria produzione interna, basata su shale gas e infrastrutture integrate: il prezzo di riferimento, il “Henry Hub”, nasce in un mercato liquido, resiliente e interamente domestico. Quando il carburante dell’economia viaggia per mare, i prezzi diventano inevitabilmente più volatili e più alti. Non è ideologia: è geografia economica.

Regole di mercato e fiscalità: l’Europa si autoimpone costi

In Europa, il prezzo dell’elettricità è determinato dal costo marginale dell’ultima centrale necessaria a coprire la domanda oraria. Finché questa centrale è a gas – e il gas è caro – tutto il prezzo dell’energia sale.
Negli USA, invece, la competizione tra gas, nucleare, carbone residuo e rinnovabili spinge i prezzi verso il basso.
A ciò si aggiunge la fiscalità ambientale europea, costruita su ETS (carbon pricing) e imposte ecologiche che, pur virtuose, rendono l’energia industriale fino a 4 volte più costosa rispetto agli Stati Uniti.
Oltreoceano, la strategia è opposta: incentivi fiscali e credito d’imposta per la transizione verde. L’Europa usa il bastone, Washington la carota. E nel bilancio delle imprese energivore, la differenza è palpabile.

Industria energivora e rischio delocalizzazione

Per settori come acciaio, fertilizzanti, carta, vetro e chimica di base, l’energia non è un costo accessorio: è la materia prima invisibile che decide la sopravvivenza dell’impianto.
Con elettricità doppia rispetto agli USA, le fabbriche europee competono in salita. Quando il gap si prolunga, la sospensione diventa delocalizzazione.
Negli ultimi anni, impianti di ammoniaca e alluminio hanno ridotto o fermato la produzione. Non per mancanza di mercato, ma per margini divorati dalla bolletta. Questo effetto si traduce in un minor gettito fiscale, una riduzione occupazionale e, in prospettiva, una dipendenza industriale dall’estero: la peggiore delle vulnerabilità strategiche.

Decarbonizzazione e sovranità: due facce della stessa medaglia

La lezione di Mario Draghi resta attuale: la transizione energetica non è solo climatica, è una politica industriale e di sicurezza.
L’Europa deve trasferire i benefici della decarbonizzazione agli utenti finali, garantendo stabilità dei prezzi e accesso competitivo all’energia pulita.
Questo richiede rete elettrica più integrata, accumuli, contratti di lungo periodo (Power Purchase Agreements) e regole meno mutevoli.
La transizione verde non deve diventare una tassa occulta sulla crescita. Altrimenti, l’Europa rischia di pagare due volte: con l’energia più cara oggi e con meno industria domani.

Una strategia europea per tornare competitivi

Il nodo è politico, non tecnico. Serve un mercato energetico continentale, meno frammentato e più coordinato, e accordi pluriennali che riducano la volatilità e attirino investimenti.
Occorre anche una revisione del carbon pricing, calibrata per tutelare la manifattura senza rinunciare alla decarbonizzazione.
Infine, l’Europa deve smettere di considerare la politica energetica come una questione “verde”, e trattarla per ciò che è: la base della sovranità economica. Solo se l’energia tornerà accessibile, prevedibile e prodotta in casa, l’industria europea potrà tornare a investire, innovare e competere.
Diversamente, continueremo a pagare il prezzo di un paradosso: un continente ricco di conoscenze, ma povero di energia economica.

Di Riccardo Renzi