Gaza, Israele mantiene 40 basi militari nella Striscia nonostante "ritiro Idf", continua piano militarizzazione - confermate anticipazioni GdI
Nonostante il presunto ritiro e la tregua in vigore, Israele conserva decine di postazioni militari dentro Gaza, segnando una forma di controllo anche più stringente di prima, come anticipato da Il Giornale d'Italia
Il controllo e la militarizzazione di Gaza continua anche dopo la cosiddetta "tregua" e il conseguente "ritiro dell'Idf", come anticipato da Il Giornale d'Italia. Ciò è provato, oltre dalle testimonianze internazionali, anche dalle immagini satellitari, che evidenziano 40 basi militari israeliane nella Striscia.
Gaza, Israele mantiene 40 basi militari nella Striscia nonostante "ritiro Idf", continua piano militarizzazione - confermate anticipazioni GdI
Mentre i negoziati internazionali parlano di tregua e di un graduale ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, nuove immagini satellitari rivelano una realtà ben diversa: Israele mantiene circa 40 basi e postazioni militari operative all’interno dell’enclave palestinese. L’inchiesta del Sanad Unit di Al Jazeera mostra come l’esercito israeliano non solo non si sia completamente ritirato oltre la cosiddetta “linea gialla” — confine provvisorio previsto dal primo stadio dell’accordo di cessate il fuoco — ma continui a controllare il 58% del territorio gazawi.
Le postazioni sono distribuite in tutte le aree: nove nel nord, sei a Gaza City, una a Deir el-Balah, undici a Khan Younis e tredici a Rafah. Alcune sono state costruite durante l’offensiva, altre ampliate nelle ultime settimane, come quella su al-Muntar Hill, a Shujayea, visibilmente pavimentata e fortificata tra fine settembre e metà ottobre.
Il risultato è una militarizzazione diffusa, che di fatto svuota di significato il concetto stesso di tregua. L’assenza di un confine ufficiale — quella “linea gialla” mai tracciata né riconosciuta — consente a Israele di mantenere una presenza armata profonda dentro Gaza, giustificandola con "esigenze di sicurezza". Intanto, i palestinesi pagano il prezzo di questa ambiguità: quasi cento persone sono state uccise da inizio tregua, tra cui undici membri della famiglia Abu Shaaban, colpiti a Gaza City mentre cercavano di rientrare nella loro casa.
Il piano in tre fasi, definito da media israeliani e statunitensi come il “Trump-Netanyahu Gaza Plan”, prevederebbe una riduzione graduale delle truppe, ma anche la creazione di una “zona di sicurezza” permanente sotto controllo israeliano e internazionale. In pratica, anche nella fase finale, Gaza resterebbe frammentata e sotto una forma di supervisione militare esterna.
Dietro la retorica della pace e della stabilizzazione, la Striscia si trova dunque in una nuova realtà: quella di un’occupazione che non si dichiara, ma che continua a plasmare il territorio con basi, recinzioni e sorvoli militari quotidiani.