Netanyahu rinuncia a summit Sharm El-Sheikh per "festa ebraica", le ragioni reali: non legittimare Hamas, Stati ostili e Abu Mazen, frattura con ultraortodossi - RUMOURS
Netanyahu salta il summit di pace in Egitto per la celebrazione ebraica Shemini Atzeret, ma dietro la scusa religiosa si nascondono timori politici, rischi diplomatici e fratture nella sua coalizione
Nelle ultime ore, il presidente americano Donald Trump ha invitato il premier israeliano Benjamin Netanyahu al summit di pace per Gaza a Sharm El-Sheikh. Dopo pochi minuti, però, è arrivata la rinuncia da parte dell'ufficio del primo ministro di Tel Aviv: "Netanyahu non potrà partecipare a causa di festività religiose nel Paese".
La festa in questione è Shemini Atzeret-Simchat Torah, che culmina tra domani e mercoledì 15. Questo, secondo voci ufficiali, sarebbe ciò che impedisce a Netanyahu di recarsi al vertice. In realtà, secondo fonti del deepstate raccolte da Il Giornale d'Italia, le motivazioni non riguarderebbero per nulla la religione, quanto la politica: non legittimare né Hamas, né Stati ostili a Israele, tanto da non sedersi a un tavolo insieme, e la paura di un aggravamento della frattura governativa già presente con l'ultra destra ortodossa.
Netanyahu rinuncia a summit Sharm El-Sheikh per "festa ebraica", le ragioni reali: non legittimare Hamas, Stati ostili e Abu Mazen, frattura con ultraortodossi - RUMOURS
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che non parteciperà al summit internazionale di pace a Sharm El-Sheikh, in Egitto, previsto oggi e co-presieduto dal presidente statunitense Donald Trump e dal presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi. La motivazione ufficiale, fornita dal suo ufficio, è il calendario ebraico: la festa di Shemini Atzeret-Simchat Torah, che inizia questa sera e prosegue fino a mercoledì, impedirebbe al premier di viaggiare. Tuttavia, osservatori politici e media israeliani considerano questa scusa debole, soprattutto alla luce del fatto che Netanyahu in passato ha partecipato a incontri internazionali durante festività religiose in circostanze straordinarie.
Dietro la decisione potrebbero celarsi motivazioni ben più complesse e strategiche. Innanzitutto, il contesto interno: Netanyahu guida una coalizione con forti componenti ultrareligiose e di destra. La sua presenza a un vertice che include il presidente palestinese Mahmoud Abbas, insieme ai leader di Francia, Germania, Regno Unito, Turchia e Qatar, avrebbe potuto essere percepita come una concessione politica e rischiare di aggravare fratture nella coalizione, in particolare con i partiti haredi, sensibili a qualunque iniziativa che possa apparire conciliativa verso Hamas o Stati arabi ostili.
Un’altra possibile ragione riguarda la sicurezza politica personale. Netanyahu affronta processi per corruzione e scandali interni, e un viaggio internazionale potrebbe esporlo a pressioni diplomatiche e mediazioni che metterebbero in luce eventuali critiche al suo governo. Partecipare al summit significherebbe anche confrontarsi con Hamas e con gli Stati arabi che hanno mediato la tregua, e questo avrebbe potuto essere interpretato come legittimazione di forze percepite come nemiche da parte dell’elettorato conservatore israeliano.
Dal punto di vista diplomatico, la sua assenza invia un messaggio ambiguo. Pur ringraziando il presidente Trump per l’invito e riconoscendo i tentativi americani di “allargare il cerchio della pace”, Netanyahu vuole evitare un contatto diretto con Abbas, riducendo così la pressione su Israele ma rischiando di indebolire la propria posizione internazionale. In altre parole, la scelta appare più tattica che religiosa: bilancia la stabilità interna con le esigenze diplomatiche, senza esporsi a possibili critiche su concessioni o legittimazioni.
Il summit inizierà comunque con circa 20 leader mondiali e si concentrerà sulla ricostruzione post-bellica a Gaza e sul consolidamento del cessate il fuoco. La mancata partecipazione di Netanyahu, però, lascia aperti interrogativi sul reale impegno di Israele nel dialogo con l’Autorità Palestinese e sulle dinamiche di potere nella regione, evidenziando un premier attento a tutelare prima di tutto la propria posizione politica interna. Ma, allo stesso tempo, chiede di annullare l'udienza per il suo processo di corruzione proprio mercoledì 15, a causa di "visite diplomatiche importanti".