Gaza, report Onu: "61mln tonnellate di macerie prodotte da bombardamenti Idf, fino a 15 anni per rimuoverle, circa 12mila corpi sotto i detriti"
Le Nazioni Unite hanno stimato che solo la fase iniziale potrebbe durare fino a 15 anni, ipotizzando l’impiego costante di 105 camion da 19 tonnellate, operativi 8 ore al giorno per 30 giorni al mese
La distruzione delle infrastrutture nella Striscia di Gaza ha raggiunto proporzioni senza precedenti. Secondo l’ultima analisi del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), circa il 78% dei 250.000 edifici stimati nell’area è stato distrutto o gravemente danneggiato, generando oltre 61 milioni di tonnellate di detriti: una quantità 17 volte superiore a quella prodotta da tutti i bombardamenti sulla Striscia dal 2008 a oggi.
Un carico che rappresenta non solo una sfida logistica immane, ma anche una profonda emergenza umanitaria e ambientale. Le stime più accreditate suggeriscono che la rimozione e il trattamento di tali macerie potrebbe richiedere decenni, in uno scenario già aggravato dalla presenza di almeno 12.000 corpi ancora sepolti sotto le rovine, da acque e suoli contaminati, e dalla perdita dei registri fondiari, che rende incerta ogni prospettiva di ricostruzione.
Gaza, report Onu: "61mln tonnellate di macerie prodotte da bombardamenti Idf, fino a 15 anni per rimuoverle, circa 12mila corpi sotto i detriti"
Il processo di smaltimento si articola in due fasi: la prima, di rimozione e trasporto, e la seconda, di lavorazione e riciclo dei materiali idonei. Le Nazioni Unite hanno stimato che solo la fase iniziale potrebbe durare fino a 15 anni, ipotizzando l’impiego costante di 105 camion da 19 tonnellate, operativi 8 ore al giorno per 30 giorni al mese.
Uno studio pubblicato a luglio dagli studiosi Samer Abdelnour e Nicholas Roy (su Environmental Research: Infrastructure and Sustainability) calcolava che il trasporto dei detriti — allora stimati in 36,8 milioni di tonnellate — avrebbe richiesto oltre 2,1 milioni di viaggi per una distanza complessiva pari a 736,5 volte la circonferenza terrestre. Oggi, con oltre 61 milioni di tonnellate di macerie, i calcoli sono da aggiornare e la tempistica supera i 20 anni.
A ciò si aggiunge il grave stato della rete stradale: secondo l’UNOSAT (Centro Satellitare dell’ONU), già nel 2024 circa il 31% delle strade di Gaza era moderatamente danneggiato, l’8,9% gravemente compromesso e il 25,4% completamente distrutto.
La sfida più complessa riguarda però la fase di frantumazione e trattamento dei detriti, rallentata da gravi restrizioni sull’ingresso di macchinari industriali.
Nel loro studio, Abdelnour e Roy considerano uno scenario “ottimale” con 50 frantoi ad alta capacità, capaci di lavorare 400 tonnellate l’ora, completando l’operazione in sei mesi. Tuttavia, questi macchinari non sono disponibili a Gaza e il loro ingresso è ostacolato da vincoli di sicurezza e blocchi logistici.
Lo scenario “realistico” contempla l’uso di frantoi di tipo primario, già in uso localmente, ma con una resa molto inferiore: a quel ritmo, solo l’80% dei detriti (quelli non contaminati) potrebbe essere trattato in circa quattro decenni — stima che, aggiornata al nuovo volume di macerie, supera i 60 anni.
Alla complessità logistica si aggiunge il fattore umano. Secondo le Nazioni Unite, ad aprile almeno 12.000 vittime risultavano ancora sepolte sotto gli edifici crollati. La rimozione delle macerie dovrà dunque essere eseguita con estrema cautela, richiedendo l’impiego di unità specializzate nell'identificazione dei resti umani.
A ciò si somma il rischio rappresentato dagli ordigni inesplosi (UXO): l’UNMAS (Servizio ONU per l’Azione contro le Mine) stima che fino al 10% delle armi esplosive non detoni al momento dell’impatto. Ogni ritrovamento comporta l’immediata sospensione delle operazioni, l’evacuazione del personale e l’intervento delle unità EOD (Explosive Ordnance Disposal). Tuttavia, la scarsità di risorse e personale EOD a Gaza lascia prevedere ritardi significativi.
Almeno il 15% delle macerie è inoltre potenzialmente contaminato da amianto, rifiuti industriali e metalli pesanti, e deve quindi essere trattato come rifiuto pericoloso, con l’utilizzo di tute protettive monouso e dispositivi speciali.
Ricostruire ciò che è stato distrutto sarà un'impresa ancora più lunga. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) ha stimato che la ricostruzione delle sole abitazioni danneggiate o distrutte potrebbe richiedere fino a 80 anni.
Ma il vero ostacolo è giuridico: la situazione legale legata ai diritti fondiari (HLP – Housing, Land, and Property) a Gaza è confusa e frammentata, basata su norme ereditate dal periodo ottomano e dal mandato britannico, spesso in conflitto con le legislazioni più recenti. Si stima che circa il 30% delle terre private non sia ufficialmente registrato, e la perdita o distruzione dei registri durante il conflitto aggrava ulteriormente la situazione.
Il mancato riconoscimento dei diritti fondiari nelle prime fasi della ricostruzione è considerato da esperti e ong un ostacolo critico al recupero sostenibile. Il gruppo di lavoro HLP Working Group, formato da agenzie ONU, ong e istituzioni accademiche, lavora per sensibilizzare sulla necessità di includere questi diritti fin da subito, e fornire linee guida in assenza di documentazione ufficiale.
Secondo l’UNEP, il ripristino ambientale a Gaza richiederà decenni. Il degrado del suolo, delle risorse idriche e della biodiversità ha subito una drammatica accelerazione da giugno 2024. La distruzione delle infrastrutture idriche e fognarie, l’utilizzo di pozzi neri e l’impatto degli esplosivi (stimato in una potenza tre volte superiore a quella delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki) hanno contribuito a contaminare la falda acquifera e compromettere l’approvvigionamento di acqua potabile.
Secondo l’ultimo Aggiornamento Umanitario ONU (2 ottobre 2025), Gaza ha perso dal 2023 il 97% delle colture arboree, il 95% della boscaglia e l’82% delle colture annuali. La produzione agricola su larga scala è diventata impossibile, e anche le aree marine e costiere risultano probabilmente contaminate.