Tianjin, il vertice SCO e l’Eurasia che sfida l’Occidente: Xi, Putin e Modi stringono il nuovo ordine globale, mentre noi guardiamo altrove
C’è una fotografia che racconta molto più di quanto possano fare i 24 accordi firmati, le ore di plenarie e i chilometri percorsi dai leader mondiali: Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi sorridono e si stringono la mano, sullo sfondo del 25° vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO) a Tianjin
C’è una fotografia che racconta molto più di quanto possano fare i 24 accordi firmati, le ore di plenarie e i chilometri percorsi dai leader mondiali: Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi sorridono e si stringono la mano, sullo sfondo del 25° vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO) a Tianjin. È il simbolo di un mondo che cambia, con l’Eurasia al centro di una rivoluzione geopolitica silenziosa, ma sempre più tangibile. La Shanghai Cooperation Organization, nata come piattaforma per la sicurezza regionale, si sta trasformando in un soggetto politico e geo-economico globale. E il summit di Tianjin ne è stata la conferma: non solo per il tono dei discorsi, ma per la sostanza delle intese siglate e per la qualità degli ospiti presenti. Oltre ai dieci membri ufficiali — Cina, Russia, India, Iran, Pakistan, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan — erano presenti anche leader di Paesi tradizionalmente legati all’Occidente: Arabia Saudita, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Qatar. Una sfilata diplomatica che sembra gridare al mondo un messaggio chiaro: il Sud Globale non vuole più restare a bordo campo mentre le regole vengono scritte altrove.
Il nuovo triangolo eurasiatico: Xi, Putin, Modi
Il vertice ha offerto un palcoscenico perfetto a Vladimir Putin, tutt’altro che isolato, accolto come uno dei protagonisti di un’alleanza che, nei fatti, sta consolidando un fronte alternativo al blocco occidentale. Il presidente russo ha colto l’occasione per ribadire la sua narrativa sulla guerra in Ucraina, definendola “una risposta necessaria a un colpo di Stato sponsorizzato dall’Occidente” e alla “spinta della NATO verso Est”. Dichiarazioni già ascoltate in passato, certo, ma questa volta accolte da una platea amica. E mentre a Washington le scadenze per nuove trattative con Mosca passano senza effetti concreti, a Tianjin Mosca e Pechino siglano l’ennesimo tassello della loro cooperazione energetica: il progetto per il gasdotto Power of Siberia 2, destinato a ridisegnare la mappa dei flussi energetici mondiali. Accanto a Putin, Modi gioca una partita sottile e strategica. La sua presenza in Cina — la prima dopo sette anni e numerose tensioni sul confine himalayano — ha sorpreso molti osservatori. Ma la spiegazione è semplice: gli Stati Uniti, con la loro politica di dazi e pressioni, stanno spingendo Nuova Delhi tra le braccia del Dragone. Trump ha raddoppiato le tariffe sulle esportazioni indiane e condannato l’India per non essersi allineata all’embargo contro il petrolio russo. Il risultato? Modi stringe patti energetici con Mosca, apre alla cooperazione tecnologica con Pechino e invita Putin a New Delhi per dicembre.
La diplomazia delle immagini e il “nuovo multilateralismo”
Xi Jinping, padrone di casa, ha guidato il summit con una narrativa efficace e ben costruita: "opposizione alla mentalità da Guerra Fredda", “vera equità globale”, “rispetto per la sovranità” e, soprattutto, “multilateralismo inclusivo”. A ciò ha aggiunto sostanza: 280 milioni di dollari in aiuti a fondo perduto per i Paesi membri e un impegno di ulteriori 10 miliardi in prestiti tramite la futura SCO Development Bank. Non solo economia. Xi ha proposto un centro condiviso sull’intelligenza artificiale e aperto alla partecipazione straniera alla futura stazione lunare cinese. Sul fronte della memoria storica, ha richiesto una “lettura corretta” della Seconda guerra mondiale che valorizzi il ruolo congiunto di Cina e Unione Sovietica nella sconfitta del nazifascismo. Le immagini di Xi, Putin e Modi che chiacchierano a margine del vertice — quasi dimentichi dei microfoni — valgono più di mille comunicati ufficiali. E testimoniano come la scena geopolitica globale si stia ridefinendo non solo con accordi scritti, ma con simboli visivi e atti performativi.
L’Europa assente, ostaggio delle sue paure
Dall’altra parte del mondo, l’Europa osserva. Spesso in silenzio, a volte con preoccupazione, ma quasi sempre in ritardo. Il “vecchio continente”, impegnato a gestire le conseguenze di una guerra devastante ai suoi confini e dipendente dalla sicurezza atlantica, ha smarrito la sua storica vocazione a fare da ponte tra Est e Ovest. Eppure, sarebbe un errore strategico rassegnarsi a essere semplici spettatori di una partita giocata altrove. Le nuove rotte dell’energia, le connessioni digitali, le catene del valore industriali stanno spostandosi verso Est. E mentre Stati Uniti e Cina si contendono la leadership globale, l’Europa dovrebbe riscoprire il proprio ruolo, evitando di consegnare al blocco eurasiatico Paesi che, fino a ieri, erano partner preferenziali: India e Arabia Saudita su tutti.
Italia: non solo Mattei, ma visione
Per l’Italia, che ha lanciato il Piano Mattei per rafforzare la cooperazione con il Sud globale, il summit SCO offre una lezione importante. Le opportunità di crescita e collaborazione non mancano, ma vanno colte con una visione strategica e autonoma. È inutile lamentarsi della concorrenza sleale cinese se si continua a delegare ad altri — o a sottovalutare — la costruzione di relazioni durature con i nuovi attori globali. L’industria italiana, forte di eccellenze uniche, ha bisogno di accesso a nuovi mercati, ma anche di regole eque. E queste regole non possono più essere scritte solo a Bruxelles o Washington. Servono sedi multilaterali nuove, inclusive, dove anche l’Italia possa far sentire la propria voce. In definitiva, la SCO non è (ancora) un'alternativa totale all’ordine internazionale occidentale, ma è certamente un’anticipazione di ciò che verrà. In un mondo che cambia, chi resta fermo scompare. E l’Eurasia si sta muovendo veloce.
Di Riccardo Renzi