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"Tatiana è stanca, deve riposare": sembra la solita complicità miserabile dell'informazione, ma forse c'è di più

La messinscena della aspirante influencer è penosa e la versione di comodo fa acqua, ma il giornalismo "d'inchiesta" si concentra sul gossip

09 Dicembre 2025

Tatiana Tramacere

Bruciato il tempo della paura, quello della svergogna, quello della rabbia, adesso è il momento dei misteri: Tatiana, l'ucraina a caccia di gloria, “è stanca, deve riposare” informano i media ignobili che stanno già imbastendo il solito monkey business: sotto, che ce n'è per tutti, per l'Ucraina, per il villaggio rimasto con una fiaccolata nel gozzo, per i media, le televisioni, Nardò come Avetrana, come Garlasco, il quarto d'ora di gloria immonda finché un altro “caso”, più misero e più sconcio, non si prenderà l'attenzione. È il nuovo trend del gossip a tinte fosche: le morte ammazzate vanno bene ma cominciano a rompere i coglioni, ci vuole un finale diverso, inedito, meglio la persa e ritrovata, che può dire e non dire, che può nascondere e parlare e la si può far girare per programmi del pomeriggio: pare ne sia uscita subito un'altra e non c'è dubbio che siamo solo all'inizio, che si preparano orde di sedotte e ripescate per apparecchiare le loro verità di influencer, di stronzette a caccia di spot. Sono stanca, chiedo scusa a tutti, e i media l'accontentano, la prendono sul serio, fingono di crederle, trasformano l'ennesima irrisolta in una gallina dalle uova se non d'oro almeno di bronzo. Non è solo l'atteggiamento bavoso, da cani di Pavlov che inseguono un impulso, c'è del calcolo e della cattiva coscienza in questa farsa. L'ucraina sogna la tivù e la tivù l'accontenta, la premia per la sua squallida messinscena. In fondo, nella sua improbabile riservatezza vittimistica, non fa che continuare il gioco: cercatemi, desideratemi.

Quello che i media non dicono, non ancora, perché preferiscono distillarlo un po' alla volta, sono le voci, da cui sempre si dovrebbe partire, non quelle delle criminologhe in fregola o degli opinionisti in ventana, le voci del paese e quelle voci mormorano come in un fiume di fanghiglia che la studentessa tardiva, influencer votiva, di faccende da chiarire ne ha. Per esempio, che ci andava a fare, sono sempre i mormorii del bosco di Nardò, quasi ogni giorno in una trazzera, una masseria, accompagnata dal padre, per frequentare una scuola di psicologia che nessuno ha mai visto? Cosa nascondeva la finta scuola? Le voci maligne del paese chiacchierano di giri strani, cose che fiaccano, le solite dicerie che affiorano in ogni borgo con la insperata fortuna di covare un mistero finalmente emerso, ma sono solo insinuazioni malevole, i si dice di chi sa sempre tutto ma lo vomita a tempo scaduto, oppure c'è qualcosa, più di qualcosa di fondato? È sfinita, la Tatiana, è stanca, dieci giorni ospite dell'amico romeno che non era un rapitore e non era un complice, forse era succube, quanti a parte lui? Di sicuro un altro a Brescia, e poi lì a Nardò? Già ci aveva provato due anni fa, dicono le malelingue del luogo, a sparire la Tatiana, ma per far cosa? Le era andata male e ci ha riprovato in modo più organizzato? Le stava stretta quella famiglia adottiva, umile, chiusa, limitata, ma per la quale non nutriva nessuna riconoscenza?

Intanto nessuno parla, c'è una cautela sorniona, strategica, si gira intorno, si preferisce scavare nella dimensione influencer in attesa delle imbeccate della procura, investigatori ed inquirenti che ancora non concedono niente. Meglio, più sale l'attesa e più si gonfia l'attenzione. Mente l'ucraina e mente il romeno, si lasciano circolare storielle inverosimili, lei chiusa in un armadio, con due telefoni senza connessione, con un coltello in mano, tutta roba che fa colore, ma non aggiunge niente. Roba che prepara lo sbarco mediatico: chi arriva prima? Vespa? Uno di quelli del pomeriggio? Vuoi che non le chiedano un parere geopolitico sulla terra d'origine? E allora si vedrà, se malgrado la totale indifferenza etnica si mette a solfeggiare “Slava Ukraine” se la accapparra la Stampa, se dice che non gliene frega niente e ha ragione Putin finisce dritta al Fatto Quotidiano. L'ha combinata grossa, ha tenuto un Paese sule spine, una famiglia nel tormento, si è lasciata cercare con spreco di mezzi, credere morta, poi è uscita e, languida, ha chiesto scusa: ce ne vorrà per dipingerla da martire, per farne una santina antifà da lotta al patriarcato, ma con un po' di buona volontà non dovrebbe essere impossibile. Certo, ci vorrà prima la fase della consapevolezza, il libro istantaneo, poi, se sarà abbastanza allumeuse, per dire odiosa nella sua avidità mediatica, potrebbe anche maturare una candidatura, con Salis o con Meloni è indifferente tanto vanno tutti ad Atreju dove per una volta si può sospendere la pregiudiziale antifascista, che ci si mangia bene, in molti sensi.

Strano modo di isolarsi dal mondo per cercare più mondo, più vita mondana, adesso sono stanca ma che volete, va così e non c'è dubbio che, passate le fasi della paura, della svergogna, della rabbia, dei misteri, subentrerà quella dell'esaltazione patetica. Ma guardatevi intorno, osservate le figlie dodicenni e le madri trenta, quarantenni e poi dite, dite se ne potete salvare una. C'è bisogno di figurine, il presepe palettaro ne sacrifica di continuo al suo altare mefitico e la politica (e di conseguenza l'informazione ridotta a puttana del re) non distingue più tra Lucrezia Borgia e santa Caterina, una volta che sei dentro, puoi avere un fedina penale immonda, puoi dire e fare le cose più rivoltanti, puoi circondarti di soggetti da ergastolo, ma sei dentro e partecipi al banchetto. Ma sì, chi è dentro è dentro e chi è fuori si rassegna a subire i balzelli, le balle, le narrazioni, le restrizioni, i ricatti, i vaccini, a vedere quelli di dentro che vanno al Sanremo melonista a sfoggiare la crapula. “A me non mi hanno invitato” piagnucola la Gruber dei Bildeberg e subito le arriva invito formale: vieni, aggiungiamo un posto a tavola, c'è posto per tutti purché famosi, potenti in un modo o nell'altro. A 83 anni, la pregiudicatissima Wanna Marchi si è tatuata la sua massima di vita, “i coglioni vanno inculati”. Anticorpi morali, di decenza, di senso del limite, “quando è troppo è troppo” non ne abbiamo più, siamo un continente già morto da vent'anni, altro che entro vent'anni, la UE è una metastasi di corruzione, l'Europa si è consegnata all'Islam di conquista senza opporsi, la chiesa cattolica è di una viltà miserabile e i commentatori dalla coda di paglia danno la colpa a Trump. L'anno prossimo ad Atreju, al Concertone Primo Maggio, a Sanremo, al Grande Fratello pure Tatiana l'ucraina? Magari in coppia col figlio di Costacurta e la Colombari che ha trasformato i suoi tso, le sue overdose, i tentati suicidi, le assurdità da adolescente viziato in business?

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