Turismo enogastronomico, Italia meta più desiderata al mondo, 15% dei viaggiatori Ue sceglie il nostro Paese in base alle proposte culinarie

Il gusto come motore del turismo italiano: enoturismo e aree interne protagonisti della nuova destagionalizzazione. Nel 2025 il turismo enogastronomico conferma la sua centralità nell’economia dei viaggi italiani. Crescono le esperienze legate al vino, si allunga la stagione oltre l’estate e le aree interne tornano al centro delle strategie di sviluppo territoriale

Il turismo enogastronomico si è affermato come uno dei settori più dinamici e identitari del panorama turistico italiano. I dati più recenti parlano chiaro: nel 2025, secondo le stime di ENIT e Coldiretti, il turismo legato al cibo e al vino ha generato un valore superiore ai 9 miliardi di euro nei primi mesi dell’anno, con un incremento sensibile dei flussi internazionali e un ritorno massiccio dei viaggiatori italiani. Una crescita che non è solo economica ma culturale, perché riflette il desiderio di riscoprire territori, filiere e tradizioni attraverso il linguaggio universale del gusto.

Un Paese che si scopre attraverso i sapori

L’Italia è oggi la meta enogastronomica più desiderata al mondo. Non solo per la qualità dei prodotti, ma per la capacità di trasformare la produzione alimentare in esperienza. Secondo l’ultimo Rapporto sul turismo enogastronomico, oltre il 15% dei viaggiatori europei sceglie la destinazione anche in base alle proposte culinarie, e il dato sale tra i visitatori più giovani e tra coloro che ricercano vacanze sostenibili o legate alla natura. È il segno di una trasformazione profonda: non si viaggia più solo per vedere, ma per assaggiare, per partecipare, per comprendere la cultura dei luoghi attraverso ciò che si produce e si mangia.

L’effetto è duplice. Da un lato, aumenta la spesa media per viaggiatore: l’enoturista e il turista del gusto spendono più della media, si fermano più a lungo e sono disposti a pagare per autenticità, qualità e relazione diretta con i produttori. Dall’altro, si moltiplicano le occasioni di visita in destinazioni finora marginali, lontane dai grandi flussi, dove il patrimonio agroalimentare diventa leva di rilancio e visibilità.

L’enoturismo come esperienza integrata

Tra i segmenti in maggiore crescita spicca l’enoturismo. Non più semplice visita in cantina, ma esperienza immersiva a 360 gradi. Nel 2025, sette turisti su dieci che partecipano a esperienze enologiche scelgono strutture che uniscono degustazione, ristorazione e ospitalità. Le cantine diventano agriturismi, wine resort o piccoli relais del vino, capaci di offrire percorsi tra i filari, corsi di cucina, spa tematiche e vendemmie esperienziali.

L’interesse per il vino si intreccia così con quello per il benessere e il paesaggio. Il 38% dei visitatori considera la visita in cantina un momento “essenziale” del viaggio, e oltre il 70% partecipa a degustazioni guidate. La spesa media in cantina supera i 70 euro a persona, con l’87% dei visitatori che acquista direttamente dal produttore. È un mercato maturo ma con ampi margini di crescita, soprattutto all’estero: oggi gli ospiti stranieri rappresentano poco più del 30% dei partecipanti alle esperienze enoturistiche, contro una media globale vicina al 40%. Germania, Regno Unito e Stati Uniti si confermano i bacini più promettenti, ma aumentano anche i flussi dall’Austria e dalla Svizzera, segno che il vino italiano continua a essere un potente attrattore culturale oltre che commerciale.

Dietro i numeri c’è una nuova concezione di ospitalità. Le aziende vinicole che investono nell’accoglienza, il 77% lo ha fatto tra il 2022 e il 2024, registrano ritorni significativi in termini di visibilità, fidelizzazione e vendita diretta. Il turismo del vino non è più un segmento di nicchia, ma un laboratorio di innovazione che coniuga economia, paesaggio e identità locale.

L’autunno come nuova alta stagione

Il successo del turismo enogastronomico è anche una chiave per affrontare una delle sfide storiche del sistema turistico italiano: la destagionalizzazione. Dopo decenni di concentrazione estiva, il 2025 ha segnato un cambiamento tangibile. Secondo ENIT e Ministero del Turismo, l’autunno si conferma una stagione di forte tenuta, con quasi 19 milioni di arrivi e oltre 85 milioni di presenze registrate tra settembre e ottobre. Le camere d’albergo mostrano tassi di occupazione superiori al 44% a settembre, un livello paragonabile ai mesi di punta. È l’effetto di una domanda che si sposta consapevolmente verso periodi più tranquilli, attratta da esperienze culturali, naturalistiche ed enogastronomiche.

Le iniziative legate al vino e alla cucina sono il principale motore di questa “nuova stagione”. Festival del gusto, fiere, cammini del vino, weekend nelle vigne o nei frantoi stanno ridisegnando il calendario turistico nazionale. Le regioni che hanno saputo legare la promozione agroalimentare al turismo lento, come Piemonte, Umbria, Marche e Abruzzo, mostrano incrementi a doppia cifra nei flussi autunnali. Anche le grandi città d’arte stanno valorizzando il binomio cultura e gusto, puntando su eventi dedicati ai prodotti locali per mantenere alta l’attenzione oltre l’estate.

La destagionalizzazione, d’altronde, non è solo una questione di calendario, ma di modello economico: significa distribuire i benefici del turismo lungo l’anno e sul territorio, migliorare la qualità dell’offerta e ridurre la pressione sui luoghi più visitati. In questo senso, il turismo del vino e del cibo rappresenta una leva strategica di equilibrio, capace di unire sostenibilità e redditività.

Le aree interne: il nuovo cuore del turismo esperienziale

Se il mare e le città restano pilastri del turismo italiano, il futuro si gioca sempre più nelle aree interne. Sono territori che coprono buona parte della superficie nazionale, ricchi di patrimoni naturali, culturali e agricoli, ma spesso penalizzati da spopolamento e carenza di servizi. Oggi, grazie al turismo enogastronomico, molti di questi luoghi stanno riscoprendo una vocazione antica e moderna insieme.

Dal Friuli alla Basilicata, nascono distretti rurali e comunità del gusto che trasformano borghi dimenticati in mete di nicchia per viaggiatori attenti e curiosi. L’esperienza del cibo e del vino diventa qui strumento di narrazione e di coesione. Non è raro che una piccola cantina o un caseificio diventino catalizzatori di sviluppo locale, generando occupazione e indotto nella ristorazione, nell’artigianato e nei servizi.

Le politiche pubbliche stanno sostenendo questa direzione. La nuova Strategia Nazionale per le Aree Interne (PSNAI 2025) coinvolge oltre 1.300 comuni tra confermati e nuovi, promuovendo integrazione tra turismo, agricoltura, cultura e innovazione digitale. I distretti turistici, le strade del vino e le reti di imprese locali rappresentano i modelli organizzativi più efficaci per competere sui mercati internazionali. Il legame tra filiera agroalimentare e accoglienza diventa così una risposta concreta alle fragilità demografiche: in molti comuni dove il turismo ha portato lavoro e servizi, i giovani tornano a investire e a restare.

L’Abruzzo, ad esempio, sta puntando sulle aree interne come alternativa sostenibile all’overtourism costiero, con progetti che uniscono cammini naturalistici, borghi dell’olio e cantine di montagna. Anche in Calabria, in Sardegna e in Molise, il turismo del gusto è diventato un asse di rigenerazione economica e identitaria. È un’Italia che si muove lenta, ma in modo deciso, costruendo valore intorno alle proprie radici.

Un modello di sviluppo per il futuro

L’espansione del turismo enogastronomico non è una moda passeggera, ma il segnale di un cambiamento strutturale nel modo di viaggiare e di fare impresa. La domanda di autenticità, sostenibilità e partecipazione spinge le destinazioni a ripensarsi come ecosistemi integrati. Il successo dell’enoturismo mostra che il visitatore non cerca più solo un luogo, ma una relazione: con il territorio, con chi produce, con le storie che rendono unico ogni sapore.

Per l’Italia, patria di 600 DOP e IGP e oltre 20 regioni vinicole, questo significa avere un vantaggio competitivo naturale. Ma il futuro dipenderà dalla capacità di fare rete, innovare l’offerta e comunicare in modo coordinato. L’obiettivo non è aumentare i numeri a ogni costo, ma attrarre un turismo di qualità, capace di generare reddito, occupazione e tutela del paesaggio.

Nel 2025, il turismo del gusto si conferma così una delle frontiere più promettenti dell’economia italiana. Un laboratorio di sviluppo territoriale che unisce tradizione e modernità, valorizzando il “saper fare” come esperienza, il cibo come linguaggio e il vino come simbolo di appartenenza. E soprattutto, una risposta concreta alla sfida di rendere l’Italia vivibile, attrattiva e sostenibile tutto l’anno, dal mare alle montagne, dai vigneti alle piazze dei borghi.

Di Nicola Durante