La guerra delle parole per cambiare la percezione della realtà: da resilienza a vaccino Covid, da complottista a genocidio
Negli ultimi cinque anni, si è assistito a una vera e propria guerra: le parole sono state usate per cambiare la percezione della realtà, pezzo dopo pezzo
“In principio era il Verbo”. Anche l’incipit del Vangelo secondo Giovanni riconosce alla parola un potere creativo assoluto. Da sempre il controllo del linguaggio è una delle forme più raffinate e pericolose del potere.
George Orwell, in “1984”, lo porta alle estreme conseguenze con l’introduzione del bipensiero, un meccanismo mentale che permette di accettare contemporaneamente due idee opposte come vere, e la neolingua, una lingua artificiale creata per limitare il pensiero e il dissenso, controllando così la realtà e il comportamento.
La neolingua del “Ministero della Verità” svuota infatti le parole di senso fino a farle significare il contrario di se stesse. “La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza.” Una specie di Pilates mentale per la coscienza: piegata, stirata, annodata finché non perde la sua forma e il suo significato originario.
Mark Twain, con “Il diario di Eva”, mostra la stessa dinamica ma con leggerezza e sottile ironia. Eva non si limita a nominare ciò che vede: lo battezza con affetto, lo osserva, lo descrive, lo classifica. Per lei dare un nome significa stabilire un legame. Adamo, invece, è infastidito da questa mania catalogatrice della “nuova creatura”. Scrive Twain: “Ho fatto amicizia con tutte le cose, e le ho chiamate per nome. Adamo dice che non è necessario, ma come faccio a chiamarle se non so come si chiamano?” È la differenza tra dare un senso al mondo e limitarsi ad accettarlo o a tollerarlo.
Negli ultimi cinque anni, si è assistito a una vera e propria guerra: le parole sono state usate per cambiare la percezione della realtà, pezzo dopo pezzo. Prima è stata la volta di RESILIENZA, il lasciapassare lessicale per costruire uno stato di emergenza permanente: dal Covid, al cambiamento climatico, fino alla guerra. Una parola che ha silenziosamente sfrattato dal lessico comune un’altra ben più nobile e profonda: RESISTENZA. Essere resistenti significa opporsi, come un corpo solido. Essere resilienti significa adattarsi, perfino piegarsi, come un giunco. E per chi vuole rimodellare la società a colpi di shock e di emergenze permanenti, per chi ha progettato un Grande Reset, la resilienza è molto più funzionale. La resistenza salva la dignità e l’umanità, la resilienza salva il sistema.
Poi è stato il turno di VACCINO. È stata modificata la definizione perfino sui dizionari per poter includere farmaci che non immunizzavano né sterilizzavano. Chi osava dubitare della narrazione “scientifica” imposta a reti e media unificati veniva considerato un untore, un irresponsabile egoista nemico della salute pubblica ma soprattutto veniva bollato come COMPLOTTISTA. Il termine fu costruito dalla CIA e dall’FBI per designare in modo denigratorio chi non accettava le conclusioni della Commissione Warren sull’assassinio del presidente USA John Fitzgerald Kennedy. Dopo quasi quarant’anni fu poi ripescato dai servizi segreti e dai media USA per screditare chiunque osasse opporsi alla verità imposta a proposito degli attentati dell’11 settembre 2001. Un complottista non merita rispetto né attenzione. Game over. E se proprio insiste, c’è sempre il ban, la cancellazione e il pubblico ludibrio digitale.
Negli ultimi 22 mesi, la battaglia si è spostata su una parola pesantissima: GENOCIDIO. Chi la usa per definire i crimini commessi da Israele a Gaza viene subito messo nel mirino: antisemita, filo-terrorista, simpatizzante di Hamas. Et voilà, ogni discussione è chiusa. Questo approccio è centrale perché stabilisce che solo gli ebrei hanno subito un genocidio. E, in nome di quello che hanno subito, possono permettersi tutto, come sosteneva Ariel Sharon: “nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato d’Israele”.
L’unico vero genocidio lo ha subito il “popolo ebraico”, non esiste altro genocidio al di fuori di quello commesso dai nazisti del Terzo Reich. Il monopolio sul genocidio è il vero scudo atomico d’Israele.
Tra i custodi e le vestali dell’ortodossia linguistica spicca Liliana Segre.
Già durante la stagione del “siero magico” (Pfizer, Moderna o AstraZeneca che fosse), ha messo in campo tutta la propria autorevolezza di sopravvissuta alla Shoah e di senatrice a vita per zittire ogni voce dissidente.
Dall’altra parte, un’altra sopravvissuta, Vera Sharav, ha ricordato al mondo il valore della parola LIBERTÀ: “Da bambina sono sopravvissuta al terrore nazista… Conosco le conseguenze dell’essere stigmatizzati come portatori di malattie… La Shoah è stata messa in moto quando la libertà personale, i diritti legali e i diritti civili sono stati spazzati via.” Vera Sharav ha visto nel Green Pass lo strumento per costruire un apartheid di nuova generazione: una classe privilegiata e una discriminata. La domanda retorica che ha lasciato sospesa era: vi suona familiare?
Due sopravvissute, due parole chiave. Segre: obbedienza. Sharav: libertà.
Sull’uso della parola genocidio, la limpidezza e l’onestà intellettuale di un altro sopravvissuto, Stephen Kapos, vale senza dubbio molto di più delle acrobazie verbali e dei trucchi da illusionista semantico della signora Segre: “Il genocidio di Gaza non sta avvenendo nel mio nome… Quando ho visto l’ambasciatore di Israele all’ONU indossare la stella gialla, mi si è rivoltato lo stomaco. Per chi, come me, ha dovuto davvero portare quella stella, questo è un insulto.”
Forse aveva ragione Eva: dare un nome alle cose è un atto d’amore e di verità. Il problema è che oggi non è più possibile nominare nulla senza la supervisione di un Ministero, di una Commissione o di un algoritmo. E così si è costretti a vivere in un mondo dove non è importante cosa accade, ma solo come viene chiamato e raccontato.
È il trionfo della neolingua: uno spazio apparentemente libero dove le guerre sono missioni di pace, la censura è protezione, la sorveglianza è libertà. E il genocidio? Solo un’opinione da moderare. Benvenuti nel regno del Ministero della Verità.
Di Marco Pozzi