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Un Labubu per tutti, la metafora di una società perduta che galleggia alla deriva, in balia dei fenomeni sociali, politici e culturali

In fondo c’è un Labubu per tutti, soprattutto per chi finge di prendere posizioni autonome e in realtà agisce in base diktat imposti dal sistema delle aree di influenza, come un pupazzo remotato

07 Agosto 2025

Un Labubu per tutti, la metafora di una società perduta che galleggia alla deriva, in balia dei fenomeni sociali, politici e culturali

Chi vive a Milano e si immette in corso Buenos Aires arrivando da Porta Venezia ha il privilegio di ammirare due assolute “unicità”.

Da piazzale Oberdan parte infatti la monumentale pista ciclabile voluta dal sindaco Beppe Sala.  È stata realizzata dimezzando la sede stradale destinata al passaggio delle auto. È un monumento alla mobilità verde e a impatto zero tanto cara al sindaco di Milano. In realtà più che un monumento è un autentico mostro che produce ingorghi e incidenti in grande quantità ed è evidentemente pensata da chi immagina una città popolata da pedoni e ciclisti in ossequio ai comandamenti della religione Green. Gli stessi urbanisti che ripensano il centro delle città, da Parigi a Londra, da Roma a Milano, in funzione dei super ricchi che possono permettersi di acquistare attici da 25/30 mila euro al mq.

L’altra meraviglia più unica che rara è la coda di persone in fila per entrare da Pop Mart e acquistare uno o più Labubu. Si tratta di piccoli mostriciattoli di peluche che sono diventati, purtroppo, un vero e proprio fenomeno sociale e culturale lanciato dalle star del pop coreano amate e ascoltate in tutto il mondo.

In varie dimensioni, da quelli giganti, alla versione mini da attaccare alla borsa o da tenere sulla scrivania, i Labubu impazzano sui feed di  Instagram e di Tik Tok.

Così la mania per i pupazzetti cinesi riempie il punto vendita di corso Buenos Aires fino a saturarlo creando code che richiedono ore di attesa per coronare il sogno di possedere l’agognato mostriciattolo. 

Qualche giorno fa un Labubu è comparso perfino sulla tomba di Gramsci nel Cimitero Acattolico di Roma, preceduto di qualche giorno dal pupazzetto apparso sulla tomba di Marx a Londra.

Il Labubu depositato sulle tombe dei grandi pensatori comunisti è la rappresentazione simbolica e instagrammabile del cortocircuito culturale, sociale e politico in cui siamo precipitati.

A questo punto sarebbe interessante vedere Meloni con il suo Labubu attaccato alla borsa, Mattarella con un bel pupazzetto cinese sulla spalla, la signora Segre con il Labubu attaccato a un bel foulard. In fondo c’è un Labubu per tutti, soprattutto per chi finge di prendere posizioni autonome e in realtà agisce in base diktat imposti dal sistema delle aree di influenza, come un pupazzo remotato.

Corso Buenos Aires. Milano. Da un lato una pista ciclabile su cui può tranquillamente transitare il gruppo di ciclisti di una tappa del Giro d’Italia e che serve soprattutto per far sfrecciare le biciclette elettriche dei runner che consegnano cibo e altri generi di conforto a una popolazione sempre più pigra e viziata. Dall’altro la coda di aspiranti possessori di Labubu.

Sono la metafora di una società perduta che galleggia alla deriva, in balia dei fenomeni sociali e politici (il green deal) e culturali.

Una società snaturata e disumanizzata dalle mode e dai consumi imposti, come aveva previsto profeticamente Pasolini. Una società piena di vuoto, ripiegata su se stessa, incapace di vedere e di sentire davvero. Chissà se in almeno uno dei pazienti acquirenti dei pupazzetti cinesi in coda sia stato sfiorato dalla tragedia di Gaza?

Di Marco Pozzi

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