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Solstizio d’inverno, dai Saturnali romani a Yule (e il preludio al Natale): ecco la storia dietro ogni 21 dicembre

Il termine “solstizio” deriva dal latino solstitium, che significa “Sole fermo” e indica il momento in cui il Sole raggiunge, in inverno, la minima altezza apparente nel cielo. Nonostante l’etimologia latina, il solstizio d’inverno ha origini più antiche, precedenti persino all’antica Roma

20 Dicembre 2025

Solstizio d’inverno, dai Saturnali romani a Yule (e il preludio al Natale): ecco la storia dietro ogni 21 dicembre

Pixabay

Quando l’anno sembra giungere al suo punto più buio, la Terra celebra uno dei suoi riti più antichi e solenni: il solstizio d’inverno. Solstizio che, almeno quest’anno, cadrà il 21 dicembre nell’emisfero boreale, ossia quando il Sole raggiungerà la minima altezza sull’orizzonte e la notte si farà più lunga del giorno.

Dal latino solstitium (“Sole fermo”), volto ad indicare il momento in cui la nostra stella raggiunge la sua minima – in tal caso – altezza apparente nel cielo, arrestando così il suo quotidiano “declino”, il solstizio d’inverno, in quanto celebrazione annuale, ha origini antichissime, addirittura precedenti al mondo dell’antica Roma. Prima che il mondo romano lo celebrasse in occasione dei Saturnali, feste in onore del dio Saturno, e della successiva festività tardo-imperiale del Sol Invictus, i popoli del Nord Europa celebravano, infatti, Yule, la festa del sole che ritorna. Nelle lunghe notti fredde della Scandinavia e delle isole britanniche, quando il buio sembrava eterno, Yule segnava, a tutti gli effetti, il punto di svolta: il Sole, dopo il suo viaggio nell’oscurità, iniziava nuovamente a salire nel cielo. Era, quindi, la promessa che la luce avrebbe vinto di nuovo. Del resto, dal norreno jól o hjól, (in italiano “ruota”), Yule non può che evocare un’immagine potente: quella del tempo che gira, del ciclo eterno costituito da morte e nuova vita. Ecco, allora, che – proprio intorno al 21 dicembre – le comunità nordiche cominciavano ad esibirsi in danze e ad offrire sacrifici alle divinità. Di più: riunitesi, le famiglie si scambiavano doni e bruciavano il ceppo di Yule, un grande tronco adornato, che doveva ardere lentamente per tutto il periodo festivo. Bruciando, si traeva da esso protezione per la casa e buon auspicio per l’anno a venire. Persino con l’avvento del cristianesimo, Yule non scomparve: cambiò semplicemente volto. Molti dei suoi simboli – il camino acceso, lo scambio dei doni, i banchetti – confluirono nelle celebrazioni natalizie; e lo stesso ceppo bruciato ispirò il dolce tronchetto di Natale.

Oggi, Yule viene riscoperto e celebrato da chi cerca un legame più autentico con la natura; è un caldo invito alla riflessione e alla speranza. D’altronde, ogni solstizio, in quanto inizio dell’inverno, non può non portare con sé la stessa antica promessa: che anche nella notte più lunga dell’anno, la luce non scompare mai davvero; aspetta solo il momento giusto per tornare a risplendere.

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