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L'ultimo "Mission Impossible". Impossibile perdersi il finale dei finali: un mega polpettone ricapitolativo di tutti gli altri

Quando un film diventa la forma universale di tutti gli altri. Puro stile nel mondo della sola prassi

20 Maggio 2025

L'ultimo "Mission Impossibile". Impossibile perdersi il finale dei finali: un mega polpettone ricapitolativo di tutti gli altri

Difficile resistere alla tentazione e non guardare il numero 8 dell'infinita saga di Tom Cruise quale 007. Ma perchè piace così tanto questo ciclo di Mission Impossible? Certamente sono partiti presto: nel 1996 e con una grande regia: Brian De Palma e un grande cast che vedeva la partecipazione di Vanessa Redgrave. Si trattava e si tratta della versione americana del britannico James Bond. Il tema e il nucleo è simile per capire il successo ossessivo del ciclo: stile + anima avventurosa-cavalleresca. Questi film svolgono una funzione psicosociale vicaria rispetto alla carenza del senso di giustizia e alla non credibilità del potere nel mondo contemporaneo. La loro morale finale è sempre uguale ed è molto semplice: il mondo fa schifo ma va comunque salvato, almeno per i nostri cari e per evitare vittime innocenti. L'agente segreto è la versione ultima e metamorfica del cavaliere templare, del guerriero crociato, del paladino dell'epica e dei romanzi. Un nucleo romantico basico regge tutto e viene giocato in senso minimalista e pragmatista per adattarlo ai tempi del dominio della Praxis. In più: l'utilizzo efficace scelte estetiche iconiche destinate a divenire emblematiche come l'agente Hunt (cacciatore) che scende dall'alto appeso ad un filo nel primo Mission Impossible con la celebre musica adrenalinico/ossessiva di Danny Elfman che diventa una cifra di riconoscimento immediato. Ethan Hunt: cioè: "perenne cacciatore". Ritorna l'archetipo biblico-mitico di Nimrod e di Orione. Questo ciclo opera come le tragedie greche per gli antichi nel rapporto fra modulo atteso e soggetto narrativo. I greci che andavano a sentire le tragedie di Euripide sapevano benissimo di che vicende si trattasse come oggi gli spettatori sanno benissimo cosa aspettarsi. Nonostante questo (e anche per questo) l'attesa, la curiosità e il successo è assicurato. La massa vuole vedere ciò che si attende ed è interessata non tanto al tema narrativo quanto ai dettagli, alle singole scene, alla sua declinazione operativa. E' come un gioco di prestigio alla Houdinì. Riuscirà il nostro eroe ad uscire dalla vasca dove è chiuso incatenato in una cassaforte e con uno squalo nell'acqua? La spiritualità dell'azione viene congiunta con l'istanza del pieno depensamento, con l'esigenza di totale evasione. Le due polarità opposte si toccano, si completano. Non ricordavo di avere visto l'episodio n° 7: poi rivedendo il trailer me lo sono ricordato. Ricordavo quasi solo la scena di Venezia e la bellezza iperborea di Vanessa Kirby. Un altro vantaggio di questi tipi di film: dimenticarli presto, così non ci si stanca nel rivederli. Lasciano solo un vago senso di avventura e di atmosfere. Sono opere di puro stile, di mera estetica; cocktail di stilemi, pura intensificazione di contingenze situazionistiche. Il divertente di quest'ultimo episodio è che si tratta di un minestrone che riprende tutti quelli precedenti in un'improbabile reductio ad unum, come se l'inconsistenza della trama degli stessi potesse essere salvata in zona cesarini. Il Nemico deve restare inconsistente e vago. Lo chiede la dinamica epica contemporanea. Il fattore centrale è l'autoglorificazione dell'eroe, che più è vago e silente anch'esso più diventa universale e può operare più agevolmente il processo identificativo di massa. Unica nota lievemente distintiva di quest'ultima fatica è un leggero accenno all'attuale geopolitica nel citare quasi tutte le attuali potenze nucleari: Usa, Russia, Cina, Corea del Nord, Francia, Regno Unito, Israele, India e Pakistan (hanno dimenticato l'Arabia Saudita). L'altra nota di attualità è in realtà già vecchia: il tema mitologico delle macchine/computer che si ribellano all'uomo, oggi ritornato di moda grazie alla retorica massmediale (rozza e superficiale) sul tema dell'I.A. e dei computer quantistici. Un vago influsso del tema base del Signore degli Anelli (la distruzione dell'anello o il suo uso) sembrava infine riecheggiare in qualche passo della sceneggiatura. C'è da dire, scendendo nel reale e prendendo il film quale occasione noetica, che in effetti l'unico rischio realmente esistente in tema di I.A. sembra quello della percezione-comunicazione reciproca delle I.A.militari di differenti potenze, tema inquietante già anticipato nel film "War Games" (1983). Quest'opera va vista come l'ennesima versione delle Baccanti o della tragedia di Prometeo.

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