12 Marzo 2025
Chi non ama l'opera di Pupi Avati? Anche al suo viso siamo affezionati. Ma il gusto non mente mai, e con gli amici occorre la sincerità: il suo ultimo film non è bello. Il ritmo zoppica, ci sono momenti tediosi e ripetitivi, piatti, grigi. L'idea è bella, il titolo attraente, l'immaginario americano anni 50 è elegante, piace agli italiani nel suo apparire "stiloso", già anticipatore di quella che sarà la "pop art". Anche l'estetica sobria e funzionale delle camionette militari dà un tono che può funzionare filmicamente. Molte le fonti di ispirazione e di citazione in cui indulge Pupi: la bellezza poetica del bianco e nero, cieli grigi e immoti e silenzi tesi alla Hitchcock, sensazioni paranormali che sembrano uscite dai racconti di Edgar Allan Poe e dettagli crudi e orribili tipo "mostro di Firenze". La scena dell'anziana e della telefonata possiede un'assolutezza iconica che ricorda quella della partita a scacchi nel "Settimo Sigillo" di Bergman. Insomma c'erano tutte le premesse per produrre un gioiello artistico e invece ecco un minestrone poco digeribile, mal combinato, un'occasione artistica sprecata. Il cinema (e specie il noir) segue leggi scientifiche, inflessibili che Pupi non rispetta. Per prima cosa se il protagonista parla poco e appare sobrio, solitario ed eccessivamente essenziale allora ci vuole una compensazione a livello di contesto, comparse e ritmo. Quì invece anche questi fattori appaiono deboli, dispersivi, poco incisivi. Se il protagonista viene retto dalla sua ossessione romantica per la sua bella Musa americana (ottima idea, funziona) allora ci vuole una maggiore presenza narrativa della medesima Musa, magari con un flash back e invece viene ridotta a pura icona che compare in modo eccessivamente fugace. Purtroppo la qualità dell'opera appare macchiata anche da altri difetti non irrilevanti come certe contraddizioni o ingenuità che il noir mal tollera. Facciamo tra i molti due esempi: il professore appare troppo chiaramente essere una figura negativa proprio per la sua cultura che lo collega al principale indizio del giallo ma non presenta il fascino oscuro dei cattivi: sembra solo un "nerd" ma non più giovane. Il fratello del professore appare una figura importante narrativamente ma del tutto auto-contraddittoria: da una parte viene raccontato come uno sciupafemmine dall'altra sembra solo uno psicopatico di provincia, un derelitto vittima sacrificale. Due polarità che non stanno insieme e si autovanificano entrambe inceppando il ritmo e la coerenza narrativa del noir. Il finale poi appare eccessivamente frustrante: non solo non c'è lieto fine (ci sta) ma la conclusione è una conclusione comunque claustrofobica, depressiva ed eccessivamente sociologica. Ci porta a chiederci: che film ho visto? Un giallo? Si e no. Un film romantico? In parte. Un film sociologico? Si; ed eccessivamente. Sembra un documentario sull'Italia devastata moralmente e socialmente dalla seconda guerra mondiale. Pupi insomma a fine carriera sembra aver mescolato troppi generi e troppi echi dei suoi film precedenti realizzando un poltiglione fra un Amarcord emiliano sub-felliniano, "la Casa delle finestre che ridono", "l'Arcano incantatore" e ricorda molto anche: l' "Albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi e via dicendo... Peccato perchè si è sprecato l'immaginario americano con cui si poteva far sintesi insieme ad un ritorno di neorealismo italiano (di moda in tempi di neo-depressione economica). Anche i dettagli horror e le scene più drammatiche sembrano giocare in modo maldestro, posticcio, improvvisato in quanto mal si armonizzano con il flusso ritmico d'insieme. Pupi non riesce a ricreare quel senso di esistenzialità sintetizzata in modo organico e armonico con il pathos umano e familiare che esprime ottimamente nei film: "La seconda notte di nozze", il "Cuore altrove" e il "Cuore grande delle ragazze". Colpevole forse anche il budget limitato rispetto alle ambizioni espressive. Basta guardare il casting per capire le ristrettezze in cui ha dovuto lavorare. Questo è un problema più ampio e chiama in causa la crisi identitaria dell'Italia quale potenza culturale. Molti artisti italiani hanno problemi quando tentano di andare oltre gli schemi e i generi o quando provano nuove sintesi. L'eccesso di conformismo nel mondo del cinema italiano è un freno a mano che ostacola anche i migliori. Ma gli vogliamo bene lo stesso (a Pupi) !
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