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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Morto in vita: vi racconto l'esperienza del male che non finisce, il trauma perenne per un crimine di Stato

Questa roba, che non finirà mai è stata fatta ad arte, scatenata in modo scientifico, gestita da una sanità sciagurata e da una politica criminale. Perché almeno non tacciono, perché continuano a negare ciò che tutti sanno?

22 Novembre 2025

Vaccino

Quando sanno che sono passato per l'esperienza del cancro, esperienza che non finisce mai perché la malattia non guarisce davvero mai, tutti, quasi tutti si fanno più comprensivi almeno all'apparenza; certo, ci sono quelli che si rammaricano che tu sia ancora qui e lo capisci benissimo anche se non te lo dicono in faccia, perché ti viene come un sesto senso, certe vibrazioni t'investono come tsunami. Ma nessuno può capire davvero che cosa significa. Volete saperlo? In due parole due, è una processione di traumi. Una infinita, fottuta processione di traumi. Quando te lo dicono ti senti che precipiti, come in quei vuoti d'aria in aeroplano, ed è il primo: scopri la disperazione, la fine del tempo, niente ti appartiene più, il mondo dietro un vetro, gli altri improvvisamente di un'altra razza o meglio l'altra razza sei tu, solo tu e tutti ti guardano con compatimento mentre ti dicono forza, sei un guerriero, ma tu sai che non è vero, non ha senso, sai che non hai più a che spartire con loro, loro sono i sani, vivono in una normalità di colpo remota, irraggiungibile e tu sei guasto, sei condannato a morte. Poche palle, non è vero che cominci a combattere, sei rassegnato invece e non osi sperare, meno che meno programmare un futuro. Perché il futuro non esiste. Non più. Finché t'inoltri nelle cure e allora ti piglia come una spavalderia suicida, da rockstar dissoluta, ma sì, vada come vada, tanto al punto in cui sei... La terapia continua e ti devasta, ogni ciclo più sfasciato, più crollato, finché non ti alzi più, scopri le piaghe da decubito, sei sempre più distante dai vivi ed è un altro trauma anche se ti stai curando. Quando hai finito non sei più tu: un ennesimo trauma. Lo chiamano, non a caso, SPTC, stress post traumatico da cancro. Tipo quelli che tornano dalla guerra e non riescono a tornare davvero, restano chiusi, disconnessi, e un bel giorno o fanno una strage o si ammazzano loro. Ti sei abituato a vivere senza il tempo, senza sogni, perché ne hai paura, ti scopri blindato alle emozioni, catafratto alla gioia, anche quella spicciola, niente più ti entra dentro, non hai coraggio di godere di nessuna cosa che prima ti procurava serenità, interesse o eccitazione: un mattino di sole, una partita, un disco che aspettavi, leggere riesci poco ormai, tutto ti rimbalza. D'altra parte scopri che stai vivendo da malato, ancora, sempre: la tua allegra incoscienza è andata, ogni sintomo è una sentenza, ogni fastidio una certezza, ti rivedi – ecco un nuovo trauma, eccolo che arriva – in quegli ospedali, nel tuo reparto, sulla “tua” poltrona, sei morto anche da vivo, da ripulito e non c'è niente da fare. Dall'inizio non dormi e la mancanza di sonno, di riposo scatena attacchi di panico notturno, soffocamento, ansia perenne, che ti consuma, che ti ammala a sua volta. E poi i controlli ricorrenti, che ogni volta sono uno choc, che possono farti ripiombare nell'incubo. A me a un certo punto avevano diagnosticato un nuovo tumore, terminale, non era vero ma io sono morto per la seconda volta e per più tempo, per più mesi della prima. Tornare a convincermi che non era ancora la mia ora non è stato possibile, io ormai esisto così. Altro che coraggio: sono un peso per me stesso e per gli altri, sono il malato cronico, l'infermo all'inferno, sono l'invalido invisibile, quello nel braccio della morte. Ho la fortuna, se tale si può chiamare, di esorcizzare questa mia condizione allucinata scrivendone, parlandone agli incontri, recitandola in teatro. Ma l'esorcismo di ogni sera mi incatena alle mie percezioni.

Che si alimentano, ed è l'ultimo trauma, definitivo, irreversibile, di una sensazione di morte perenne, diffusa, condivisa: per tutta la malattia io ho spartito il mio percorso con altri malati e molti non ce l'hanno fatta: conservo tutti i messaggi di chi lottava con più coraggio e disperato coraggio di me, “appena guarisco, denuncio i vaccini che mi hanno avvelenato”, “ne uscirò, amo troppo la vita”. Questa spoon river non finirà mai, ogni giorno io trovo qualche lettore che sta male, che si è ammalato, che si dibatte, che si arrende. Ogni giorno io apprendo di qualcuno che è andato, e il lutto mi lambisce perché lo conoscevo oppure conoscevo sua moglie, suo figlio, sua madre, qualcuno che era legato. Allora vado incontro al suo dolore, perché non mi è lecito difendermi, perché so di che si tratta. Ne ho appena scoperto un altro e so con certezza che sono stati i vaccini; mi dicessero quello che vogliono, mi maledicano pure sui social, mi augurassero la morte che tarda – sì, io ho fatto esperienza anche di questo, e non è vero che non lascia traccia, come le lascia scoprire che sei inutile, dimenticato, nessuno è venuto a trovarti, nessuno si è scomodato - ma io lo so che per due siringhe mi sono ammalato, due siringhe di Stato, ho bruciato due anni e non sarò più lo stesso. Dentro, soprattutto. La tragedia segue un copione immutabile, si ripete identica con inesorabilità agghiacciante: la diagnosi tardiva, i mesi di calvario, il crollo rapido, la fine. Li chiamano turbocancri e ho scoperto una cosa, non sono proprio diagnosi tardive, è che questi maledetti vaccini, questi intrugli creati per uccidere scatenano forme inavvertibili alla scienza fino a che non è tardi, camuffano i segni, i sintomi, cambiano il male mentre si sviluppa, confondono le diagnosi, sviano i medici, fino a che non è tardi. Ricordate il caso del giornalista Purgatori? A distanza di anni ancora litigano sulle autopsie, sulle diagnosi sbagliate e invece era il vaccino diabolico come diabolico era il morbo, il Covid che nessuno ha mai saputo spiegare quanto a origine, eziologia, dinamiche. Come fossero stati creati appositamente, l'uno e l'altro, per mietere più vittime possibili compiendo il delitto perfetto, la strage perfetta e infinita.

Ci sono riusciti. Ci stanno riuscendo. Non sapremo mai davvero cosa è successo e perché a noi. Nessuno pagherà. Nessuno farà mea culpa. Sono più tronfi che mai dopo averci uccisi a ondate. Perché una cosa è certa, tutti siamo malati. Chi più chi meno, ma tutti. Ad alcuni andrà meglio, altri conosceranno la distruzione, molti non ce la faranno. Oceani di lacrime ancora ci aspettano. “E' stato straziante, ha lottato fino all'ultimo, ma non aveva una possibilità: mai visto un male così feroce, così vorace. Così rapace”. Ogni giorno, ogni giorno io attraverso questa esperienza e, negli altri, rispecchio la mia. Perché si ostinano a negare, perché cambiano discorso o scatenano gli insulti di sempre quando dico la verità? L'ultima morte conosciuta appartiene a uno la cui famiglia era ossessionata dai vaccini, non bastavano mai. Un uomo giovane, forte. Sano. Morto in un anno. Non mi leggeranno e non sapranno che mi dispero per lui, per tutti loro, non scopriranno il mio tacito rimprovero, che potrei rivolgere a me stesso: ricordo la vostra ostinazione, quella assoluta certezza che vi distanziava da me, ricordo quegli educati impercettibili scarti d'insofferenza quando vi dicevo, è stato quello, quello. E adesso niente più ha senso, adesso è tardi per tutto tranne che il dolore, abissale, che tramortisce, che impazzisce. Domani m'imbatterò in una nuova tragedia, in un altro trauma che si depositerà in me, che nutrirà il mio trauma. Questa roba è stata fatta ad arte, scatenata in modo scientifico, gestita da una sanità sciagurata e da una politica criminale. Non basterebbero mille ergastoli, mille Norimberga, mille inferni per punirla. Troppo immane per essere ammessa, ma perché almeno non tacciono, non si nascondono, perché tutti continuano a mentire, a dirottare, a negare quello che sanno benissimo?

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