23 Settembre 2025
Un giro d'affari corposo legato all'aumento delle esportazioni europee di pesticidi nocivi verso Paesi a medio e basso reddito. È quanto emerge dalla nuova inchiesta pubblicata oggi, 23 settembre, dall'unità investigativa di Greenpeace, Unearthed e dall'organizzazione Public Eye che mette in luce l'ennesima ipocrisia europea. A quanto emerge dall'indagine, lo scorso anno l'Unione Europea avrebbe autorizzato la vendita di pesticidi contenenti 75 sostanze chimiche proibite nei campi europei perché fortemente nocivi per la salute umana e l'ecosistema.
L'export di pesticidi sarebbe raddoppiato negli ultimi 7 anni, da quando cioè, nel 2018, se ne contavano 41 di sostanze vietate, così come dimostrò un'ulteriore indagine del 2020. A quanto emerge, ad aumentare però non sarebbero soltanto le sostanze chimiche pericolose, ma proprio i volumi che l'Ue invierebbe all'estero. Nel 2024 122 mila tonnellate circa di prodotti con pesticidi vietati erano dirette altrove, più del doppio rispetto a quelli esportati nel 2018. Ma esportati dove? Sarebbero 93 i Paesi destinatari della vendita, 71 dei quali sono a medio e basso reddito, risultando così destinatari del 58% in peso del totale dei prodotti. Dati alla mano, il principale importatore resta il Brasile che, ironia della sorte, possiede le riserve di biodiversità più importanti del mondo. Poi seguono Ucraina, Marocco, Malesia, Cina, Argentina, Messico, Filippine, Vietnam e Sudafrica. Dell'Africa si contano ben 25 Stati, mentre, tra i Paesi importatori ad alto reddito, figurano gli Stati Uniti. Greenpeace ha denunciato chiaramente quali sono i rischi connessi ai pesticidi incriminati: danni cerebrali nei bambini, infertilità, interferenze endocrine. Ma naturalmente è irreversibile anche l'impatto sulla flora e la fauna considerate le enormi quantità di insetticidi letali per api e fauna selvatica. Tutto questo mentre l'Ue continua a bannare questi prodotti a casa sua battendo il pugno sul fatto che tali prodotti costituiscano una chiara minaccia globale per sicurezza alimentare e biodiversità.
Ma quali sono, secondo l'inchiesta, i Paesi maggiormente coinvolti? 13 Stati membri, con al primo posto - per volumi di esportazione - la Germania (oltre 50mila tonnellate).Poi, a ruota: Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Bulgaria, Italia (7mila tonnellate), Francia, Danimarca, Ungheria e Romania. In Italia, in particolare, si contano sei aziende coinvolte in questo giro di esportazioni, tra cui Finchimica, Tris International, Corteva e Sipcam Oxon, che hanno notificato complessivamente l’esportazione di quasi 7 mila tonnellate di pesticidi contenenti 11 sostanze chimiche vietate. Su tutti l’erbicida trifluralin, proibito da quasi 20 anni perché, tra i vari effetti collaterali, sospetto cancerogeno. "Eppure - afferma Simona Savini della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia - le aziende al centro dell’inchiesta, comprese quelle italiane, continuano a trarre profitto vendendo prodotti vietati soprattutto a Paesi più poveri e con normative più deboli, mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori del comparto agricolo, delle comunità locali e della natura". L'aspetto paradossale però, continua Savini, è che molti dei prodotti trattati con quegli stessi pesticidi potrebbero "rientrare nel nostro Paese". Oltre il danno la beffa: poco tempo dopo la pubblicazione della prima inchiesta sull'export di pesticidi vietati, la Commissione Ue si era impegnata a concludere queste pratiche illecite. Una promessa visibilmente infranta: "La Commissione Europea deve intensificare i suoi sforzi e rispettare il suo impegno a introdurre un divieto a livello Ue su questo commercio tossico" conclude amara Savini.
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