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Payback, Regioni chiedono 2,1 mld di euro di rimborso alle aziende di dispositivi medici

Riem, presidente della Federazione italiana fornitori in sanità: "A gennaio ci troveremo davanti a una crisi senza precedenti da un punto di vista economico e sanitario"

16 Dicembre 2022

Le aziende di dispositivi medici devono milioni alle Regioni a causa del payback: polemiche e rischio di chiusura per molte

Foto di Ri Butov da Pixabay

Centinaia di aziende di dispositivi medici potrebbero chiudere a causa degli esborsi dovuti al payback: hanno 30 giorni per dare alle rispettive Regioni una somma totale di oltre 2,1 miliardi. Questa quota dovrebbe coprire il rimborso per previsioni sbagliate delle Regioni negli anni dal 2015 al 2018. Il meccanismo, esistente da anni, è stato sbloccato da Mario Draghi e confermato da Giorgia Meloni, premier in carica.

Payback: perché le aziende devono milioni alle Regioni 

Dal 2001, sotto il governo Berlusconi, le Ragioni hanno un tetto massimo di spesa per l'acquisto di dispositivi medici che corrisponde al 4,4% del fondo sanitario nazionale, cioè tutti i soldi che lo stato destina ogni anno alla sanità. Il payback è quel meccanismo di rimborso previsto dalla legge sotto il governo Renzi che richiede alle aziende di prodotti medici da cui è stato acquistato di supplire con una percentuale qualora la Regione sforasse

In parole semplici, se la Regione ha compiuto una sovrastima sui prodotti sanitari le aziende sono costrette a rimborsarle in parte. Il meccanismo è molto controverso perché pare recuperare dalle aziende del denaro per rimpolpare le casse delle Regioni. Molte aziende hanno infatti fatto ricorso al Tar e in Sardegna è già sospesa la riscossione dei rimborsi in attesa del pronunciamento dei giudici amministrativi. Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria Dispositivi Medici, ha definito il payback un "disastro che va fermato subito".

Oltre a pagare per errori non commessi da loro, molte aziende percepiscono un altro versante dell'ingiustizia e lo spiega bene ancora Boggetti: "È un paradosso: noi partecipiamo a gare pubbliche di appalto in cui siamo obbligati a fornire delle quantità di dispositivi ai prezzi che ti vengono imposti sennò finiamo in galera per interruzione di pubblico servizio e ora a posteriori dopo diversi anni ci chiedono i soldi indietro". 

C'è inoltre una questione tecnica complessa ma non secondaria: la quota che l'azienda dovrebbe rendere è calcolata in proporzione al fatturato delle aziende rispetto al spesa totale della Regione per i dispositivi medici. In questo modo, però, si calcola un importo sui prezzi "al lordo dell'IVA", cioè sui prodotti già "maggiorati" perché già tassati. Secondo le aziende, invece, l'importo andrebbe calcolato sull'utile, cioè sul costo del prodotto al netto delle tasse. 

Massimo Riem, il presidente della Federazione italiana fornitori in sanità (FIFO) concorda con l’obiettivo di spendere i soldi pubblici in modo più razionale, ma di non si può passare "da una deresponsabilizzazione degli amministratori e da un tracollo del tessuto delle piccole e medie imprese italiane". Riem ha affermato che secondo le loro stime centinaia di aziende saranno costrette a chiudere: "A gennaio ci troveremo davanti a una crisi senza precedenti da un punto di vista economico e sanitario".

Governo Meloni conferma payback

In questi giorni le aziende hanno ricevuto gli importi da pagare relativi al periodo 2015-2018 e hanno 30 giorni. Il sistema del payback, cioè del rimborso alle Regioni da parte delle aziende di dispositivi medici, è stato istituito  da Matteo Renzi nel 2015: le aziende avrebbero ridato il 40% dello sforamento riferito al 2015, il 45% per il 2017 e il 50% per gli anni successivi. Il meccanismo è stato effettivamente attivato soltanto da Mario Draghi nel  "decreto Aiuti bis" che nell’estate del 2022 ha richiesto alle Regioni di definire le spese sanitarie dettagliate sostenute negli anni precedenti. 

Secondo i conti del ministero, in riferimento al 2015 le aziende farmaceutiche dovranno rimborsare 416 milioni di euro totali; 473 milioni per il 2016; 552 milioni per il 2017; e infine 643 milioni di euro per il 2018. In totale 2 miliardi e 84 milioni di euro, soldi che fanno molto comodo ai bilanci regionali, da pagare entro 30 giorni di tempo da quando ricevono l’avviso.

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, nonostante le proteste sollevate, non è intenzionato a eliminare il payback, anche se si riserverà di fare una "manutenzione" con la "massima attenzione". Anche per Eugenio Giani, presidente della Toscana, una delle Regioni che secondo FIFO spende di più, il payback va assolutamente mantenuto perché altrimenti "lo Stato e non più i privati dovrebbe dare alle Regioni 1,4 miliardi di euro. Sarebbe assurdo e inconcepibile, non c’è copertura finanziaria".

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