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I figli dell’odio ad “Una Montagna di Libri” a Cortina d’Ampezzo

Cecilia Sala tra Ucraina, Gaza e Iran: testimonianza potente ma dibattito mancato, tra narrazione unica, semplificazioni geopolitiche e assenza di voci realmente critiche

Dal carcere di Teheran ai conflitti globali: un incontro intenso ed interessante che per l'Ucraina solleva interrogativi sul pluralismo culturale e sul rischio di un racconto ideologizzato delle guerre contemporanee

31 Dicembre 2025

Cecilia Sala tra Ucraina, Gaza e Iran: testimonianza potente ma dibattito mancato, tra narrazione unica, semplificazioni geopolitiche e assenza di voci realmente critiche

Cecilia Sala a Cortina: guerre raccontate, libertà invocate e il limite di una narrazione senza contraddittorio

L'ultimo incontro del 2025 della 33^ edizione di Una Montagna di Libri a Cortina d’Ampezzo, è stato dedicato a Cecilia Sala, a un anno dalla sua detenzione nel carcere di Teheran e in occasione della presentazione del libro I figli dell’odio, ha attraversato Ucraina, Medio Oriente e Iran, offrendo una testimonianza intensa ma lasciando irrisolto il nodo centrale del pluralismo del racconto.

Accanto a Sala, Daniele Ranieri, reduce da Damasco.

Ucraina: tra stanchezza occidentale e semplificazione narrativa

Il confronto si è aperto con la guerra in Ucraina. Sala ha osservato come Donald Trump appaia annoiato da una situazione complessa e mostri una simpatia istintiva per Vladimir Putin, il quale, secondo la giornalista, continua a chiedere sempre di più. Il Donbass viene descritto come un residuo strategico, con fortificazioni pensate soprattutto a tutela di Kiev.

Ranieri ha restituito un quadro ben più cupo: nel Donbass la situazione per gli ucraini è definita disperante, con continue perdite territoriali. Le cifre citate, circa presunti 100.000 morti e 300.000 mutilati per i Russi nell’ultimo anno, delineano una guerra di logoramento. Kramatorsk resta difficile da espugnare, ma i negoziati sono percepiti dalla popolazione ucraina come un piano di pace inesistente, data la volontà russa di continuare il conflitto.

In questo contesto, la narrazione del moderatore è apparsa fortemente schierata su una linea filoucraina, con una semplificazione che ha lasciato poco spazio alla complessità storica e geopolitica. Sala stessa ha criticato la riduzione del discorso sull’Ucraina in Europa ad una forma di beneficenza morale, ritenendo il riarmo europeo una necessità di difesa per far capire a Putin che l’Europa non puo' tornare a politiche di conquista territoriale. Più controversa l’affermazione secondo cui Putin avrebbe iniziato la guerra “per capriccio”, letta da parte del pubblico come una banalizzazione delle cause profonde del conflitto.

Gaza, Jenin e il paradosso palestinese

Dopo oltre mezz’ora, l’incontro si è spostato finalmente sul libro. Sala ha raccontato Gaza, Jenin e la Cisgiordania, definendo Jenin, citando Arafat, una “città indomita” a prescindere dall’occupazione citazione confermata dal fatto che dal campo profughi sono provenuti numerosi attentatori suicidi.

Colpisce il dato sui giovani israeliani: circa il 70% sarebbe contrario alla creazione di uno Stato palestinese, segno di un cambio generazionale profondo. Sala ha riproposto l’aneddoto di Firas, padre palestinese convinto dell’impossibilità di sconfiggere Israele con la violenza e sostenitore della diplomazia come unica speranza per i palestinesi ma che tuttavia nei fatti è rifiutata soprattutto dai giovani. Persino dal proprio figlio diciannovenne, Sami,  il quale segretamente è diventato un membro di Hamas e muore in uno scontro con l’esercito israeliano. Ed al funerale del proprio figlio il padre è abbracciato da centinaia di ragazzi tra i 13 e i 15 anni i quali si congratulano per aver allevato un martire palestinese, una scena che sancisce simbolicamente il fallimento della trasmissione di un’alternativa alla lotta armata.

Sala ha illustrato quello che definisce il paradosso palestinese: in Cisgiordania cresce il favore per Hamas, mentre a Gaza molti vorrebbero un ritorno all’OLP. Ranieri ha criticato duramente i regimi laici mediorientali, come quello di Assad, e ha descritto Hamas come organizzazione sanguinaria. Sul versante israeliano, ha citato i ministri fondamentalisti delle Finanze e della Difesa, definiti potenziali terroristi violenti; Itamar Ben-Gvir viene indicato come espressione di una fazione messianica canaanita, un tempo evitata dallo stesso Benjamin Netanyahu, oggi invece pienamente integrata nelle istituzioni anche grazie all’altissimo tasso di natalità dei fondamentalisti.

Libano e Iran: nessuna speranza e un amore controverso

Ranieri ha poi parlato del Libano, descrivendo Hezbollah come una struttura politico-militare estorsiva che continua ad autoriprodursi nonostante le sconfitte sul campo. Secondo questa lettura, solo un intervento israeliano potrebbe restituire speranza al Paese.

Sala ha infine affrontato il tema dell’Iran, dichiarando di amarlo nonostante la brutalità del suo arresto e della detenzione. Ha ricordato che il 70% della popolazione è giovane e che, nonostante la repressione seguita alle proteste del 2022, nel dicembre 2024 ha incontrato un Iran in cui il dissenso verso il regime teocratico si esprime anche tramite il rifiuto di moltissime di indossare il velo. Il limite invalicabile resta però l’assenza totale di tolleranza per la contestazione pubblica ed il monopolio delle armi e della violenza detenuto dai Pasdaran.

Il carcere: la detenzione come macchina di terrore

Il momento più inteso dell’incontro è stato il racconto dettagliato della detenzione. Sala ha descritto la prigione come un dispositivo di terrorizzazione psicologica: simulazioni di impiccagione, interrogatori ossessivi con l’accusa di essere una spia, l’ascolto forzato delle torture inflitte ai detenuti maschi. Ha raccontato anche l’imposizione di calpestare le bandiere israeliana e americana, precisando come tali gesti non fossero condivisi dagli universitari iraniani.

Nel finale è emerso il riferimento ad Aleksandr Dugin, citato per il suo auspicio della caduta dell’Unione Europea nel 2026. Ranieri ha osservato che Dugin dovrebbe fare attenzione, essendo un potenziale obiettivo dei servizi ucraini. Sala ha invece riportato il discorso sul piano civile: gli europei, ha detto, dovrebbero imparare ad apprezzare la libertà di cui godono. In Italia, ha aggiunto, i filorussi sono pochi ma sovrarappresentati e rumorosi.

Il limite strutturale dell’evento

Resta tuttavia una considerazione critica di fondo la quale riguarda la scelta degli ospiti sistematicamente allineata a una narrazione univoca, natocentrica e filokieviana, con l’assenza di voci realmente discordanti e autorevoli. Personaggi come Marco Travaglio, Giorgio Bianchi o storici di riconosciuto spessore come Alessandro Barbero avrebbero potuto introdurre un contraddittorio sostanziale.

Gli invitati sul palco offrono testimonianze emotivamente forti, ma restano prevalentemente narratori di esperienze, non sempre supportate da un solido background storico o geopolitico indipendente. Il rischio è che l’evento finisca per proporre una narrazione ideologizzata e politicizzata, più orientata a uniformare la platea che a stimolare un autentico confronto critico.

In un tempo di guerre complesse e polarizzazioni estreme, il pluralismo delle voci non indebolirebbe il dibattito culturale, al contrario, ne sarebbe la condizione necessaria.

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